Quella febbre che torna spesso e di cui non si conosce la causa
Febbre ricorrente, febbricola, febbre essenziale, febbre di origine sconosciuta e febbre autoinfiammatoria, assieme a tante altre definizioni, sono il modo in cui viene definito l’aumento della temperatura corporea che non dipende da batteri o virus e che si presenta in modo ricorrente o prolungato.
Si tratta di un fenomeno sempre più frequente, in cui la componente infiammatoria dovuta al cibo e quella dovuta alla glicazione sono sempre più da tenere in considerazione.
La storia clinica è frequentemente la stessa e non riguarda solo i giovani: un ragazzo o una ragazza, spesso tra i 13 e i 20 anni, ma ora anche in età maggiore, presenta in modo quasi continuativo o ricorrente una febbre talvolta elevata (ma più spesso una febbricola che arriva a raggiungere solo i 38 gradi), accompagnata da stanchezza e senso di affaticamento.
Dopo un primo trattamento antibiotico che sembra risolvere la questione, la febbre si ripresenta e dura a lungo (anche due-tre settimane) prima di scendere nuovamente a livelli accettabili, e in seguito si ripresenta frequentemente, di nuovo per periodi prolungati, rendendo difficile quell’anno scolastico e spesso anche i successivi.
Di solito le ricerche immediate sono quelle tese a escludere una mononucleosi o una infezione subdola (cistite batterica, tubercolosi, Citomegalovirus, Toxoplasma) che risultano tutte negative.
Allora si valuta comunque il parere di un ematologo per escludere una eventuale forma tumorale del midollo osseo (leucemie o linfomi) e, dopo una serie numerosa di esami, si accede spesso anche al parere dello psicologo che segnala una fase di stress (raro trovare un adolescente che ne sia privo) e propone qualche terapia cognitiva di supporto.
Alcune ricerche di settembre e ottobre 2018, una pubblicata su Molecular and Cell Pediatrics, e l’altra su Clinical Immunology hanno definito la stretta correlazione tra i “radar” dell’organismo (i Toll Like Receptors o TLR) che si attivano a contatto con le sostanze esterne come batteri o alimenti, e la produzione di specifiche citochine che sono corresponsabili delle malattie autoinfiammatorie, come appunto la febbre ricorrente (Holzinger D et al, Mol Cell Pediatr. 2018 Sep 25;5(1):7. doi: 10.1186/s40348-018-0085-2).
Nel nostro centro arrivano spesso dei giovani o dei giovani adulti (sia uomini sia donne), con storie di questo genere e normalmente portano con sé dei “pacchi” di esami da analizzare che non hanno evidenziato alcun tipo di causa apparente. Al punto che la medicina definisce questo tipo di sindrome Febbre di Origine Sconosciuta (in Inglese FUO, Fever of Unknown Origin), che viene discussa (qui un articolo di Medscape) come potenzialmente collegata a infezioni di difficile comprensione o a malattie immunologiche e poi collegata anche a fenomeni infiammatori o autoinfiammatori dovuti allo stile di vita.
E proprio sull’infiammazione correlata al cibo, sull’eccesso di zuccheri e sullo stile di vita noi andiamo ad agire, secondo un criterio del tutto personalizzato e individuale. .
La descrizione dei criteri diagnostici “ufficiali” fa riferimento ad una febbre di almeno 38, di durata che può variare da 1 a 3 settimane (e anche più) in cui anche una settimana di ricovero ospedaliero non sia riuscita ad evidenziare una causa precisa. Non c’è quindi un vero e proprio algoritmo di comprensione della malattia. Mancano degli strumenti certi per definirla, anche se chi ne soffre vede con tristezza tutti le sere la febbre che sale nella stessa misura della preoccupazione dei familiari.
Il segnalato articolo di Medscape chiarisce che una percentuale significativa di “Febbri di Origine Sconosciuta” è legata a più fattori concomitanti e che è indispensabile che il medico consideri con attenzione la pelle, gli occhi, i linfonodi, il fegato e la milza, cercando di evitare trattamenti invasivi, costosi e quasi sempre inutili per il paziente e per il Servizio Sanitario.
La maggior parte di queste febbri tende infatti a rimanere non diagnosticata nonostante una intensa ricerca delle cause e fortunatamente mantiene una prognosi positiva a lungo termine risolvendosi nel corso di uno o due anni.
In un articolo del 2016, lo statunitense Broderick evidenzia che la comprensione delle malattie autoinfiammatorie, talora dipendenti da una sottostante malattia autoimmune e quasi sempre collegate ad una attivazione dell’immunità innata, deve essere valutata da un immunologo/allergologo o comunque da un medico competente in quest’area (Broderick L. Curr Allergy Asthma Rep. 2016 Jan;16(1):2. doi: 10.1007/s11882-015-0578-1).
Nel 2013 un gruppo di ricercatori tedeschi dell’ospedale della Charité ha pubblicato su Allergy una serie di indicazioni e di riferimenti alla letteratura scientifica precedente, dettagliando le possibili cause infettive, immunologiche, autoimmuni e ambientali di questo tipo di febbre (Kallinich T et al, Allergy. 2013 Mar;68(3):285-96. doi: 10.1111/all.12084. Epub 2013 Jan 18).
Il concetto di autoinfiammazione è legato a possibili stimoli ambientali che attivano l’immunità innata (ad esempio gli esiti di una vecchia infezione, come per la PFAPA, oppure gli stimoli alimentari che attivano i Toll Like Receptors – TLR deputati a riconoscere se un cibo è adatto o meno all’organismo) e determinano la produzione di citochine infiammatorie come il TNF-alfa, il BAFF e l’Interleuchina 1B, tutte sostanze che stimolano processi infiammatori (qui l’articolo originale).
In particolare per il BAFF sappiamo con certezza oggi che la sua presenza può dipendere da una alimentazione scorretta, ripetitiva, e il livello di infiammazione presente nell’organismo può essere oggi misurato facilmente insieme al Profilo Alimentare personale, che consente di impostare terapeuticamente una dieta personalizzata che miri a ridurre i processi autoinfiammatori (e la febbre, che ne è l’espressione).
Una febbre ricorrente va sempre valutata con attenzione e nel nostro centro, attraverso protocolli terapeutici specifici, affrontiamo questo tipo di problema esattamente nelle modalità indicate dall’articolo di Kallinich, evitando dispersioni di energia e denari, una volta escluse le cause immediate e preoccupanti di possibile coinvolgimento clinico.
In pratica
A una persona che presenti questo tipo di febbre, dopo avere escluso una mononucleosi, chiediamo normalmente alcuni esami specifici che mirano ad escludere eventuali componenti cliniche impegnative, prescrivendo:
- Emocromo
- Elettroforesi delle proteine
- ANA (Anticorpi anti nucleo)
- C3 e C4 (complemento)
- VES e PCR
- TSH ed eventuali altri esami tiroidei (in base alla clinica)
- Glicemia
- Emoglobina glicata
- Fruttosamina (che già evidenzia dei fenomeni di glicazione patologici)
Se questi esami sono negativi o non segnalano particolari aree di anomalia, andiamo immediatamente a studiare l’infiammazione da cibo, perché spesso le persone che arrivano con queste condizioni sono ragazzi (o adulti) che mangiano scarsa frutta e verdura, presentano frequentemente segni di carenza minerale e vitaminica e non seguono le regole del nutrirsi bene.
Si va quindi ad agire prima sul comportamento e poi sul resto.
In molti casi, la riduzione del BAFF o del PAF che si ottiene con la dieta personalizzata consente, insieme ad un reintegro vitaminico e minerale, di riportare in equilibrio la componente immunologica e di fermare quei “segnali di allarme” che l’organismo, attraverso la febbre e l’infiammazione trasmette all’esterno.