La follia di eliminare gli alimenti
Il cibo e gli alimenti raccolgono l’energia del sole che entra nella terra, nelle piante e negli animali e può diventare l’energia con cui ogni organismo vive e agisce. Se esistessero specifici anticorpi “contro” gli alimenti, la specie umana sarebbe potenzialmente estinta da centinaia di migliaia di anni.
Gli anticorpi specifici per gli alimenti si dividono tra quelli protettivi (che sono anche indice di consumo) come le IgG, e quelli alla base dell’allergia, come le IgE. Tra di loro deve esistere un equilibrio preciso che consente ad ogni organismo di assorbire l’energia che gli serve in modo attento e variato, regolato da segnali infiammatori che devono aiutare a trovare un rapporto di amicizia con il cibo.
A parte casi di allergia conclamata e documentata o di celiachia (unica intolleranza alimentare che impone la esclusione di un solo alimento), che impongono l’eliminazione di uno specifico cibo dalla dieta, questo genere di approccio, che ha l’obiettivo di escludere o evitare uno o più alimenti, può essere rischioso.
Come già evidenziato in numerosi articoli apparsi su Eurosalus, l’utilizzo inutile di diete di eliminazione aumenta il rischio di shock anafilattico in caso di reintroduzione accidentale dell’alimento e anche quando non si arriva a una situazione così grave si verificano, in un grandissimo numero di casi, reazioni simil-allergiche.
È come se l’astensione prolungata da un certo tipo di antigene alimentare facesse dimenticare al sistema immunitario di averlo già incontrato, scatenando un segnale di pericolo, esattamente come avviene con le prime introduzioni alimentari del bambino che inizia lo svezzamento.
Il segreto infatti è una dieta di rotazione che riduca l’infiammazione generale e allo stesso tempo rieduchi all’amicizia con il cibo, favorendo una specie di “svezzamento adulto”, senza bisogno di eliminare nulla.
In una dieta di rotazione di glutine e frumento, ad esempio, si avranno dei giorni di totale astensione (la pasta verrà sostituita con patate, risi integrali e colorati, quinoa, avena, amaranto, grano saraceno e legumi, sempre associati a proteine e vegetali) e giorni in cui il frumento verrà reintrodotto (solitamente il mercoledì, sabato sera e domenica, ovvero in 7 pasti su 21). Questa tecnica, che mima appunto lo svezzamento infantile, permette all’organismo di recuperare nuovamente un rapporto fisiologico di amicizia con la sostanza alimentare responsabile dell’infiammazione.
Esiste quindi una soluzione nutrizionale terapeutica che permette di vivere in modo sereno, senza rinunciare al piacere sociale di una buona cena in compagnia, mangiando comunque gli alimenti della tradizione e mantenendo (o ritrovando) il proprio benessere.
Alla base dei percorsi terapeutici proposti presso il Centro Medico SMA di Milano c’è un programma del tutto simile, grazie al quale si mantiene il contatto con gli alimenti associati all’infiammazione in almeno 3 giorni settimanali, perfino nel momento di dieta più stretta.
Questo tipo di approccio permette di dare spazio di respiro alla sintomatologia, mantenendo d’altra parte un contatto con l’alimento che ritorna con il tempo a essere meno problematico, fino al recupero di una vera amicizia con il cibo, tutte le volte che è possibile.
La dieta di rotazione è stata per anni discussa, proprio perché esisteva il tentativo di “eliminare” l’alimento potenzialmente responsabile ma i dati scientifici hanno finalmente documentato che la dieta di rotazione è efficace e sicura. Su Nutrition and Metabolism, ad esempio, è stato pubblicato nel 2020 un lavoro di ricerca che per la dieta di rotazione personalizzata ha documentato efficacia clinica e risultati nella sindrome del colon irritabile.
Solo i pazienti che hanno seguito correttamente la loro personale dieta di rotazione hanno visto calare in modo significativo i sintomi della colite e i valori di Immunoglobulina G (IgG) specifiche per gli alimenti. Sono gli anticorpi alimento-specifici che vengono misurati con il test Recaller 2.0 e con il test PerMè.
Oltre ai possibili danni immunologici e anafilattici e ai ritardi di crescita di bambini e adolescenti derivanti da inutili diete di eliminazione, va considerato che le inutili diete di eliminazione (anche solo temporanee come i due mesi di astensione) facilitano spesso lo sviluppo di infiammazione dovuta ai cibi sostitutivi utilizzati più di frequente.
Inoltre, i falsi miti delle cosiddette “intolleranze alimentari” (ricordando ancora che ne esistono solo due tipi, la intolleranza al glutine di tipo celiaco e la intolleranza biochimica al lattosio) hanno fatto sì che venissero utilizzate diagnosi poco credibili o del tutto a-scientifiche come se indicassero una specie di allergia che obbligasse a escludere completamente quel cibo dalla propria alimentazione.
È talora avvenuto che persone già predisposte a scivolare verso un disturbo del comportamento alimentare hanno recepito e usato, sulla base di test e di suggerimenti diagnostici scorretti, il concetto di alimento “nemico”, attivando processi di evitamento tanto inutili quanto pericolosi. Molte persone cercavano e cercano attraverso diagnosi mediche o pseudomediche e spesso a-scientifiche di avere la scusante pratica per iniziare, per apparente “giusta causa”, un processo di eliminazione.
Si tratta di un disturbo del comportamento alimentare nuovo e un gruppo di scienziati internazionali (USA, UK, CH) sta pubblicando numerosi lavori di ricerca proprio su questa entità patologica, chiamata ARFID (Avoidant Restrictive Food Intake Disorders) e uno di questi lavori, pubblicato in settembre 2021 sul Journal of Clinical Psychiatry, discute la prevalenza del disturbo e la sua definizione.
Come ha discusso la dottoressa Paola Dordoni, psicologa e psicoterapeuta del nostro centro, nel suo articolo “Selettività alimentare e ortoressia: quando il cibo nemico mi controlla”, per parlare di ARFID è però necessario ricordare che la selezione alimentare non deve essere dovuta a fattori culturali, a mancanza di disponibilità di cibo o a condizioni mediche o psicologiche che possano spiegarlo. In molti casi ad esempio, l’evitamento può essere spiegato da un’apparente mancanza di interesse per il mangiare o per lo specifico alimento, oppure alle proprietà sensoriali dell’alimento (come il suo aspetto, il suo odore, la consistenza) o infine può presentarsi a causa di preoccupazioni per le conseguenze del mangiare (come il soffocarsi e il vomitare).
È quindi importante, di fronte a diete restrittive, analizzare bene i meccanismi che le hanno generate, per potere attivare le procedure di risoluzione più corrette. Medico e psicologo, insieme, possono spesso risolvere una situazione agendo sia sulla parte fisica sia quella psichica del disturbo presentato.
Per un approfondimento dei temi trattati, suggerisco la lettura del mio libro “Le intolleranze alimentari non esistono” (Edizioni LSWR, 2019), disponibile in qualsiasi libreria, anche online, e anche in formato Kindle e Ebook.