Fibrillazione atriale: quando il cuore è un po’ ubriaco
Il cuore ogni tanto fa le bizze e una fibrillazione atriale di breve durata può anche essere un fenomeno del tutto occasionale, legato magari a condizioni di tipo emotivo o, per fare un altro esempio, a una rilevante carenza di magnesio o alla disidratazione eccessiva.
Una fibrillazione atriale merita comunque una valutazione cardiologica proprio per comprendere che alla sua base non ci siano invece dei problemi cardiaci o coagulativi su cui intervenire in modo rapido o talvolta urgente.
Anche se in sé la fibrillazione atriale non rappresenta una disturbo immediatamente grave, perché il cuore continua comunque a battere pur se in modo un po’ disordinato, la sua presenza può condizionare la formazione di coaguli e trombi che sono a loro volta dei possibili problemi da affrontare. E soprattutto ne vanno capite le cause tra cui va sempre considerata anche la funzione tiroidea o l’uso di farmaci inadatti.
Oggi l’evoluzione scientifica e la ricerca hanno reso disponibili strumenti diagnostici e terapeutici di elevata efficacia preventiva e terapeutica che aiutano a evitare i danni e i problemi che ne possono derivare e il rapporto con il proprio cardiologo è un elemento di sicurezza importante.
Che l’infiammazione dovuta alla assunzione alimentare possa essere causa di aritmia è un dato già noto e su queste pagine abbiamo discusso il tema nell’articolo “Tachicardia, cardiopalmo, aritmie e extrasistoli. Quando il cibo può esserne causa”.
Personalizzare le scelte alimentari riducendo l’eccesso di alcuni cibi può portare alla riduzione di molti fenomeni aritmici e di fatto, nel centro SMA in cui lavoro, seguiamo sempre con attenzione questi temi personalizzando l’aspetto nutrizionale e dando supporto alle terapie cardiologiche in atto.
L’interferenza sul ritmo cardiaco dipende, su base individuale, dalla assunzione di alcuni alimenti cui l’organismo risponde con la produzione di citochine infiammatorie che modificano la risposta cardiaca. Questi effetti possono dipendere anche dalla infiammazione legata alla assunzione di zuccheri (e di fruttosio in particolare), che determinano effetti di glicazione nell’organismo.
Ma le conoscenze continuano a progredire e gli ultimi anni hanno consentito di evidenziare che anche l’assunzione di alcol può avere effetti di stimolo improvviso e inaspettato sul ritmo cardiaco. Capita infatti che persone che si trovano già in fase di controllo farmacologico (di solito specifici betabloccanti e alcuni antiaritmici), a seguito di una serata “in amicizia” in cui si è ecceduto con l’alcol pur sempre nei limiti dell’uso cosiddetto “sociale”, sentano il cuore iniziare a battere in modo disordinato, percependo le stesse sensazioni che avevano portato alla impostazione della terapia.
Lo stesso accade a persone apparentemente sane e in equilibrio, per le quali, ad esempio, l’uso alcolico serale si riflette su una sensazione di disordine del ritmo cardiaco durante la notte che prosegue anche nelle prime ore del giorno.
È evidente che in quel caso ci sia una maggiore sensibilità all’alcol che numerosi studi hanno proprio messo in connessione con la fibrillazione atriale e comunque con l’aritmia cardiaca.
Fin dal 2019 una ricerca effettuata da un gruppo di cardiologi di Taiwan e pubblicata su Cardiovascular Diabetology evidenziava come la resistenza insulinica determinasse effetti strutturali e di modulazione elettrica sul cuore e sulla modulazione della attivazione elettrica, facilitando la comparsa di aritmie, mentre dall’altra parte del mondo, sempre nel 2019, un gruppo di ricerca britannico pubblicava sulla rivista medica Addiction delle considerazioni sulla quantità di alcol che poteva determinare l’induzione della fibrillazione atriale.
Anche i ricercatori britannici hanno spiegato che l’assunzione occasionale di una elevata quantità di alcol è statisticamente associata con lo sviluppo improvviso di una aritmia cardiaca perfino in soggetti con una normale funzione cardiaca, e che la fibrillazione atriale è la più comune aritmia cardiaca associata con l’assunzione cronica di elevati volumi alcolici. Sopra ai 14 grammi di etanolo al giorno (corrispondenti all’incirca a un bicchiere da 125 ml di vino a 13 gradi), ogni incremento di 14 grammi nell’assunzione di alcol determina un aumento del 10% del rischio di sviluppare fibrillazione.
Lo stesso gruppo di cardiologi di Taiwan, nel luglio 2021, ha descritto su Biomedicines gli effetti aritmici dell’alcol come dovuti al fruttosio, la cui assunzione determina una alterazione della flora intestinale, una attivazione infiammatoria (classicamente legata ai fenomeni di glicazione) e stimola l’innesco dell’aritmia.
C’è una importantissima questione da discutere, che va al di là della polemica continua tra chi vorrebbe mantenere un uso costante e moderato di alcol e chi invece vorrebbe abolirlo del tutto; tema sociale, politico e religioso in cui volutamente ora non entro.
In relazione alla fibrillazione atriale, una ricerca australiana pubblicata nel 2020 sul New England Journal of Medicine ha con certezza definito che l’astinenza dall’alcol ha effetti protettivi e preventivi sulla fibrillazione atriale in confronto ad una moderata o ridotta assunzione alcolica (Voskoboinik A et al, N Engl J Med. 2020 Jan 2;382(1):20-28. doi: 10.1056/NEJMoa1817591).
Si tratta di un lavoro di spessore e molto interessante ma nell’editoriale dello stesso numero della rivista la ricercatrice canadese Anne M. Gillis ha svolto una interessante considerazione sul fatto che l’alcol faccia parte di consuetudini storiche profondamente radicate in vaste aree del mondo e ironizza sul fatto che il lavoro australiano appena citato fosse originariamente previsto per valutare dodici mesi di astinenza alcolica ma che si è “dovuto” ridurli a soli sei mesi per la impossibilità di trovare bevitori moderati disposti a fare una astensione così prolungata.
Capiamo molto bene questi aspetti e nel nostro gruppo di lavoro applichiamo, infatti, delle indicazioni terapeutiche e cliniche che derivano dalla consapevolezza della individualità di risposta.
Attraverso i test di GEK Lab (in questo caso PerMè e Glyco test) è possibile definire la eventuale predisposizione genetica al problema di ogni paziente e misurare il livello di glicazione e di infiammazione dovuto al fruttosio e all’alcol.
I controlli dei test (da effettuare dopo qualche mese a seconda dei risultati iniziali) consentono inoltre di definire se la dieta seguita è congrua con le necessità cliniche o meno, aggiustando di conseguenza le indicazioni terapeutiche e nutrizionali.
In questo modo, senza imporre un’astinenza inutile (lasciandola solo ai casi necessari) ogni persona può modulare il proprio stile di vita nel rispetto della salute e contemporaneamente della convivialità sociale e delle proprie convinzioni.