Il sonno del bambino
Un gruppo di ricercatrici dell’università della University of South Australia (Adelaide), guidate da Lisa Anne Matricciani presso il dipartimento di Health Sciences, ha analizzato e rivisto centinaia di studi sul sonno di bambini e adolescenti, nonché le prescrizioni rispetto all’ideale tempo dedicato al sonno degli stessi nel trascorrere di più di un secolo.
Il risultato, è interessante: da una parte il sonno effettivo è diminuito mediamente di 73 minuti attraverso tutte le fasce di età rispetto al 1897. Dall’altra parte, è diminuito anche il sonno suggerito: questa volta si tratterebbe di 71 minuti dal 1897 al 2009 (anno dell’ultima ricerca analizzata). Non solo: secondo l’analisi i bambini non hanno mai dormito, nella media, quanto era indicato come ottimale dai dottori di ciascuna epoca. Solo il valore dello scarto tra media suggerita e media effettiva è restato costante negli anni: 37 minuti a quanto pare.
Insomma, sembra vero il detto che prende in giro i nonni secondo i quali la gioventù “non è mai quella di una volta”. E per fortuna: i tempi cambiano e tutto si evolve. La preoccupazione globale rispetto al fatto che i bambini di oggi non dormano a sufficienza ha le sue ragioni: oggi è noto che il sonno abbia un valore essenziale nella crescita e nello sviluppo cognitivo, oltre che nella regolazione ormonale, nella gestione della massa grassa, nel mantenimento dell’attenzione e nel controllo della pressione arteriosa (nel bambino come nell’adulto). L’apprensione di genitori e sanità sull’argomento resta più che giustificata.
Tuttavia, esistono evidenze del fatto che la quantità di sonno utile a ciascuno (bambino o adulto) sia profondamente specifica e individuale: il sonno suggerito rappresenterebbe quello che nella media è il tempo necessario prima che una persona si svegli naturalmente. Attorno al valore di media ognuno ha il suo tempo ottimale, così risulta più che logico il suggerimento del dottor David Gozal, esperto di problematiche del sonno infantile presso la University of Chicago, secondo il quale “se il bambino non si sveglia da solo la mattina, deve essere mandato a dormire prima”.
Altre variabili influiscono nella necessità di sonno o nella stanchezza di ciascuno. È ad esempio da considerare la correlazione tra presenza di citochine proinfiammatorie (che potrebbe essere dovuta ad infiammazione da cibo) e stimolo alla sonnolenza. Si tratta dello stesso motivo per cui generalmente quando si ha la febbre ci si ritrova stanchi e affaticati, con maggiore predisposizione al riposare. Un controllo delle intolleranze alimentari e dell’infiammazione (sia o meno essa “da cibo”) può aiutare quindi nei casi in cui la notte “non porta consiglio” né tanto meno riposo, per quanto lunga e prolungata.
L’attività fisica è tra le altre variabili che possono portare, anche attraverso la riduzione dell’infiammazione, ad un miglioramento della qualità del riposo. Da ricordare che l’aumento della vitalità durante il giorno e della funzionalità del momento di sonno possono, nel caso di attività fisica di nuovo tipo o incrementata entità, passare attraverso un transitorio momento di incremento di tale bisogno. Anche in questo caso, l’organismo tende comunque a riassestarsi in maniera sufficientemente pronta e scattante. A ciascuno quindi il suo sonno, con una riflessione sul perché della stanchezza e sul valore del riposo (di nuovo, l’impostazione alimentare della giornata può aiutare), e qualche trucco e considerazione, sul come facilitare nel prendere sonno, i piccoli di casa e anche i grandi.