Guerra, soldati e antidepressivi
Il Pentagono è di solito molto prodigo di dati, statistiche e informazioni dettagliate. Intorno al numero di soldati che assumono certi tipi di antidepressivi sembra invece esserci una certa vaghezza.
Stando alle scarne informazioni fornite dal Ministero americano, circa un soldato su 5 sul fronte afgano e uno su 6 sul fronte iracheno stanno assumendo inibitori del reuptake della serotonina (farmaci come Prozac, Zoloft, Elopram, Seropram, Efexor ecc).
La scelta di questi farmaci e non di altri tipi di antidepressivi, di fronte alle gravi situazioni di disagio che si sono create nella truppa in questi anni, è orientata a ridurre la frequenza di alcuni effetti collaterali come la sonnolenza. Che diamine, un soldato deve essere sempre vigile!
La domanda che ci si pone è invece di altro genere. Se è vero che questi farmaci non determinano spesso sonnolenza (ma talvolta la danno comunque), uno dei rischi documentato di questi trattamenti è l’induzione nei soggetti giovani di un comportamento suicidario. E in molti casi la risposta a questi trattamenti determina una sottile euforia e una perdita relativa della capacità di autocontrollo.
Valutando il tutto in una ottica globale, non sono certo di apprezzare un soldato armato di tutto punto in stato di “sottile euforia”, perché la razionalità dei suoi gesti potrebbe non essere garantita.
Indubbiamente il problema non si esaurisce con questa analisi, e dovrebbe considerare l’effettivo globale aumento dei suicidi tra i combattenti e i reduci da questi fronti, l’incremento di patologie gravi da post trauma nei reduci, e l’incremento dei maltrattamenti sui minori, figli di combattenti.
Leggendo il 5^ rapporto del Mental Health Advisory Team, pubblicato nel marzo 2008, oltre il 27% dei soldati impiegati sul fronte per la terza volta presenta degli importanti disturbi mentali.
Sicuramente stare là non è facile, e l’analisi comparsa sul Time del 16 giugno scorso, a firma di Mark Thompson, è di sicuro interesse. Merita di essere letta per approfondire il significato di questa forma sottile di occultamento dei problemi della guerra. Forse però è necessaria una ultima considerazione, che vale per tutte le guerre, e per tutte le situazioni di conflitto tra i popoli.
Oggi il Prozac e in Vietnam le anfetamine, in modo simile a quanto i nazisti fecero sui fronti polacco e francese durante la seconda guerra mondiale. Fermare la riflessione e il raziocinio per assaltare e colpire con maggiore forza ed intensità. Nulla cambia però sotto il sole nel corso del tempo.
Una cara memoria personale è quella di mio nonno Celeste (nome poco adatto per un combattente, benché Ufficiale dei Carabinieri) che raccontava a noi nipotini le sue esperienze durante la Prima Guerra Mondiale.
Ci diceva che lui era vivo, mentre così tanti suoi commilitoni avevano perso la vita, perché aveva coniato un motto: “Cerca il sasso ed evita la grappa del giorno prima”. I due fenomeni erano del tutto correlati: il nonno aveva capito che quando arrivavano triple e quadruple forniture di grappa, il giorno seguente ci sarebbe stato l’assalto al nemico.
Così la grappa veniva evitata, e il mattino dopo mentre persone prive di discernimento andavano all’assalto alla cieca, il nonno, con le sue funzioni mentali non annebbiate avanzava verso il nemico passando da un sasso all’altro che lo proteggessero e gli consentissero di evitare le pallottole avversarie.
Io scrivo oggi perché un uomo saggio ha scelto di rimanere più presente alla realtà, anche se sofferta. E il tema delll’uso di sostanze psicotropiche “legali” durante un conflitto, qualunque esso sia, mantiene aperte tutte le possibilità di approfondimento e critica.