C’è un legame tra protettori gastrici e aumentato rischio di cancro dello stomaco
Gut è una delle riviste mediche di gastroenterologia più importanti al mondo, e questa ricerca mista inglese e cinese, pubblicata alla fine di ottobre del 2017, sancisce una forte diversità tra gli inibitori di pompa protonica (IPP), cioè il gruppo dei -prazoli (omeprazolo, lansoprazolo, pantoprazolo eccetera) che sono iperdiffusi tra la popolazione e i vecchi inibitori anti H2 (ranitidina ed altri), forse un poco meno efficaci nel controllare l’acidità gastrica, ma evidentemente meno dannosi nel lungo termine (Cheung KS, Gut. 2017 Oct 31. pii: gutjnl-2017-314605. doi: 10.1136/gutjnl-2017-314605. [Epub ahead of print]).
Di recente abbiamo segnalato i numerosi lavori scientifici pubblicati per evidenziare la preoccupante ascesa di effetti collaterali legati all’uso dei protettori gastrici (IPP) di tipo prazolico.
Si tratta di prodotti insostituibili per un uso breve e in specifiche condizoni. Purtroppo, per molti anni passati, la comunicazione più frequente che si sentiva riferire dai pazienti era che il medico avesse detto qualcosa di simile a “li prenda pure per tutta la vita” o “la terapia va protratta per sempre”.
Evidentemente così non è, e fortunatamente sono state recepite già in ambito internazionale le nuove linee guida sull’uso di queste preparazioni, con l’augurio che anche nella pratica clinica prevalga il buon senso sulle abitudini prescrittive.
Il lavoro di ricerca, effettuato a Hong-Kong da un team cinese e inglese, ha portato a verificare su circa 64.000 persone che avevano effettuato la classica triplice terapia di eradicazione dell’Helicobacter pylori (composta da un protettore gastrico, un antibiotico e un antifungino) che l’incidenza di cancro dello stomaco era molto diversa tra chi poi avesse continuato a prendere i prodotti di tipo prazolico (che ripeto sono in assoluto i più diffusi anche in Italia) e chi invece avesse usato prodotti come la ranitidina, cioè degli anti-H2.
Fortunatamente si parla di un numero ridotto di casi (0,25% di coloro che avevano fatto la eradicazione, cioè 1 su 400), ma il rischio di ammalarsi di questa malattia era in media 4,5 volte più elevato negli utilizzatori di IPP rispetto a chi avesse usato anti H2. Per un uso superiore ai tre anni il rapporto di rischio si elevava in media a 8,3 volte rispetto a chi usava anti H2; significa che in quel gruppo il cancro gastrico colpiva quasi 10 utilizzatori di IPP contro 1 solo utilizzatore di anti H2.
Parliamo ovviamente di una situazione ipercontrollata, in cui i pazienti sono seguiti attentamente da un team medico, alla ricerca di possibili segni di sviluppo di una forma tumorale.
Eppure c’è evidentemente qualcosa che non quadra. Se un prodotto arriva a generare degli indici di rischio così alti, significa che non è un prodotto da usare in modo prolungato, soprattutto quando l’alternativa degli anti H2 dimostra un rischio decisamente minore.
Le motivazioni che spiegano questo tipo di effetto collaterale sono quelle che abbiamo tante volte segnalato. La mancata digestione delle proteine (che deve avvenire a un livello di pH vicino a 2 e non certo al pH neutro di 7 indotto dai protettori gastrici) può portare a attivare fenomeni infiammatori intestinali che hanno la loro relazione con la genesi tumorale.
Per questo, nei nostri percorsi terapeutici, cerchiamo di risolvere i processi infiammatori che stanno alla base, spesso legati a forme di reattività alimentare su base infiammatoria piuttosto che all’iperacidità, come spesso viene detto.
Le cause del fantomatico “reflusso” non sono tutte legate all’eccesso di acidità gastrica. Da molti anni si studiano gli effetti della dieta sulla infiammazione gastroesofagea con risultati ben più che positivi.
Sappiamo che quando si usano protettori gastrici di questo tipo è importante associare enzimi digestivi che riportino la digestione ai valori corretti e che soprattutto il loro uso deve essere limitato nel tempo.
Troppi sono gli effetti collaterali che progressivamente si stanno evidenziando per un prodotto che spesso non è risolutivo della patologia e che invece spegne dei sintomi d’allarme senza incidere sempre sulle cause.