La bibita killer. Offrire bevande dolci non è più una gentilezza
Gli effetti dannosi dovuti alla dolcificazione e all’uso ripetuto degli zuccheri sono già documentati da qualche tempo, ma negli ultimi anni si stanno evidenziando dati sempre più precisi sul tipo di azione che svolgono e sul modo in cui si sviluppano danni per la salute.
Il 3 di settembre 2019 sono stati pubblicati su JAMA Internal Medicine (una delle riviste mediche più importanti e autorevoli del mondo) i risultati di una ricerca imponente svoltasi in 10 stati europei (Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Norvegia, Spagna, Svezia e Gran Bretagna), che ha coinvolto quasi 500.000 persone, reclutate tra il 1 gennaio 1992 e il 31 dicembre 2000 e seguite per un periodo medio di circa 16 anni (Mullee A et al, JAMA Intern Med. 2019 Sep 3. doi: 10.1001/jamainternmed.2019.2478. [Epub ahead of print])
I dati sono presto descritti. Chi beve più di due bicchieri al giorno di bibite comunque dolci (cioè una lattina o una bottiglietta di bibita, di tè freddo dolcificato o di altro ancora) ha un rischio di morire di qualsiasi malattia del 17% maggiore di chi non ne beve.
Più in specifico, chi beve più di due bicchieri al giorno di bevande dolcificate artificialmente (“zero calorie” o simili) ha un rischio di morte per malattie cardiovascolari del 52% maggiore di chi non ne beve (cioè una volta e mezzo più degli altri).
Chi invece beve anche solo un bicchiere o più al giorno bevande dolcificate con zuccheri (dal saccarosio al maltosio, passando probabilmente anche attraverso il miele e la stevia) ha un rischio di morte per patologie del sistema digestivo (dalle forme tumorali alle malattie infiammatorie intestinali) del 59% maggiore di chi non ne beve.
Si tratta di numeri impressionanti che obbligano una riflessione profonda sulle abitudini alimentari di oggi e sul tipo di sostegno commerciale e pubblicitario dato alle bibite comunque dolcificate.
Le prime critiche a questo lavoro osservazionale (che ha cioè “guardato” cosa succedeva nel corso degli anni, senza intervenire a modificare le abitudini di un gruppo o di un altro) hanno ipotizzato che le persone che bevevano più bibite erano probabilmente più in sovrappeso delle altre o obese (sempre per un possibile effetto degli zuccheri) e che quindi la vera causa dell’aumentato rischio morte fosse proprio l’obesità.
Il lavoro invece ha controllato moltissimi dei fattori confondenti e ha evidenziato che questa stessa relazione si poteva verificare anche nelle persone magre e non in sovrappeso (indice di massa corporea o BMI minore di 25, cioè basso).
Data l’importanza sociale e la forza dirompente di questa comunicazione, si capisce perché si siano uniti ben 43 istituti e dipartimenti di ricerca europei per pubblicare il lavoro. Diventa poi importante capire come sia possibile, alla luce di questi dati, pubblicizzare per i bambini l’uso di bevande dolcificate presentandole come sane e utili.
È bene precisare che nella ricerca, trattandosi di un lavoro osservazionale, non viene descritto un rapporto causale diretto tra zucchero e rischio morte, ma ne viene letta una probabile correlazione. Il numero di persone valutato (circa mezzo milione di persone) e la durata dell’analisi (una media di circa 16 anni di osservazione) rappresentano però dei dati di alto valore statistico e consentono di rendere questa probabilità una “quasi” certezza, obbligando alcune prese di posizione per gli individui singoli e per la società tutta.
Lo zucchero non è mai negativo in se stesso. L’essere umano possiede addirittura un ormone che ne stimola la ricerca. La sua assunzione era però utilissima nel paleolitico, quando gli zuccheri erano rari, ma nel mondo attuale l’uso continuativo degli zuccheri (tutti) rischia di diventare devastante. Oggi abbiamo la certezza che la sua utilizzazione quotidiana, anche se in misura non elevata, può sicuramente generare danni e facilitare lo sviluppo di malattie gravi.
Gli zuccheri devono essere assunti con discernimento. Misurando nel sangue gli effetti della sua assunzione, andando al di là dei valori di emoglobina glicata e della glicemia, che oggi sono riconosciuti inadatti a valutare in anticipo i danni che possono nascere, si può regolare la gestione zuccherina, limitandola a 2-4-6 pasti settimanali in relazione ai diversi valori evidenziati.
Il miglioramento dello stile di vita, l’attività fisica corretta e l’assunzione di cromo, cannella, inositolo o di altri nutraceutici che migliorano la sensibilità insulinica può aiutare anche chi abbia valori alterati a riconquistare una fisiologica relazione con gli zuccheri e tornare a goderne solo il piacere senza riceverne danni.