Ipoglicemia reattiva e diabete: due facce di una stessa medaglia
La relazione con gli zuccheri è sempre più spesso alterata. Se da un lato aumentano le persone che si ammalano di diabete e i prediabetici rappresentano ormai una gran parte della popolazione, sta crescendo anche il numero di chi soffre di ipoglicemia reattiva, una condizione in cui i sintomi che si manifestano (tremori, sudorazione, ansia, sonnolenza, stanchezza, senso di svenimento e altri ancora) possono spesso essere confusi con i sintomi diabetici, ma sono invece dovuti alla condizione opposta, cioè ad un calo inaspettato, spesso durevole, della glicemia.
In effetti, ipoglicemia e diabete di tipo 2 (quello alimentare) sono due facce della stessa medaglia, entrambi cioè sono correlati all’alimentazione e determinati dall’alterazione della sensibilità insulinica.
L’insulina, prodotta dal pancreas, è una sostanza fondamentale per il metabolismo degli zuccheri. Per fare entrare in una cellula il glucosio, l’insulina deve attivare, in ogni cellula dell’organismo, dei canali che ne facilitino l’ingresso; solo a quel punto la cellula può funzionare.
Quando l’organismo è infiammato, la superficie delle cellule diventa più rigida e l’insulina fa molta fatica ad attivare i canali per il passaggio del glucosio. In quel caso si parla di “resistenza insulinica” e serve quindi molta più insulina del normale perché la cellula riceva il suo nutrimento. La resistenza insulinica può essere aumentata dall’infiammazione, dall’uso di certi tipi di grassi (come ad esempio l’olio di palma), dalla sedentarietà, da alcuni farmaci e da altre cause ancora.
Immaginiamo una persona che abbia un livello di infiammazione da alimenti elevato (perché mangia ripetutamente gli stessi alimenti). Il BAFF prodotto nell’organismo (misurabile dal test PerMè o dal test Recaller 2.0) cresce di livello e provoca un aumento della resistenza insulinica. L’organismo, per fare funzionare le cellule, deve produrre insulina in quantità maggiore e quindi il glucosio circolante farà prima “fatica” ad entrare nelle cellule e in seguito, spesso in modo improvviso, verrà assorbito “di botto” scomparendo quasi dal circolo.
In questi casi, compaiono sintomi di ipoglicemia eccessiva e i sistemi organici di riequilibrio, sopraffatti dalla presenza di una quantità eccessiva di insulina, non riescono a tenere i livelli di glucosio a livelli accettabili. Quando queste persone effettuano una curva da carico di glucosio (OGTT) si assiste ad un paradosso: la glicemia non si alza granché (presentando la cosiddetta “curva piatta”), spesso erroneamente confusa con uno stato di normalità, mentre l’insulina ha dei valori molto alti ed esprime la fatica che sta facendo l’organismo per fare entrare nelle cellule il glucosio.
Il vero problema è che queste persone con la curva glicemica piatta (e frequenti sintomi di ipoglicemia reattiva) in una successiva fase della loro vita non riescono più a fare entrare il glucosio nelle cellule, anche in presenza di elevate quantità di insulina, oppure esauriscono la capacità del pancreas di produrre insulina e improvvisamente si trasformano da “ipoglicemici” in “diabetici”, con tutti i problemi connessi a questa malattia.
Non di rado infatti anche l’ipoglicemico è un forte mangiatore di dolci e di carboidrati, proprio come il diabetico, e per questo i due problemi vanno prevenuti e trattati in modo analogo.
Il termine di ipoglicemia “reattiva” dipende proprio dal fatto che l’ipoglicemia è facilmente indotta dalla assunzione di zuccheri (glucosio o fruttosio), di amidi raffinati e a veloce assorbimento e di alcol o polioli (che vengono metabolizzati come il fruttosio); sono tutti prodotti che stimolano una immediata produzione di insulina cui segue, nel giro di 10-20 minuti un crollo della glicemia con comparsa dei sintomi caratteristici detti appunto “reattivi” alla precedente assunzione zuccherina. Non di rado, l’eccesso di fruttosio (quindi anche di frutta, sempre su base individuale) può essere da modulare e controllare.
Spesso l’ipoglicemico passa per essere solo un ansioso o un nevrotico, mentre una valutazione medica complessiva (che escluda le altre possibili cause di ipoglicemia) e la valutazione dello stato infiammatorio e di glicazione (test PerMè) consentono di studiare l’infiammazione da zuccheri (glicazione) e da alimenti e di impostare una terapia nutrizionale personalizzata che contrasti i sintomi, prevenga l’evoluzione negativa e aiuti la persona a ritrovare un rapporto amichevole con gli alimenti e con gli zuccheri.
Nel centro SMA di Milano in cui lavoro, tutti i medici del team affrontano questo tipo di problemi attraverso percorsi terapeutici personalizzati (come esempio quelli attivabili per il diabete o quelli proposti per il miglioramento della performance sportiva, entrambe situazioni fortemente legate al metabolismo zuccherino) che integrano gli aspetti fisici classici a quelli motivazionali grazie alla possibilità di misurare con rigore e con metodo i valori di glicazione, i valori di infiammazione e i profili alimentari personali insieme alle varie suscettibilità genetiche al problema.
Il corretto approccio terapeutico prevede anche l’impostazione della attività fisica più adatta alla singola persona trovandosi spesso a dover insegnare a chi ne soffre le basi della corretta alimentazione (come descritte nell’articolo “Nutrirsi bene”), bilanciando sempre carboidrati, proteine e verdure nella proporzione più adatta in ogni pasto.
Spesso è utile integrare le impostazioni nutrizionali individualizzate con alcuni minerali o alcune sostanze che hanno la capacità di migliorare la sensibilità insulinica. Tra questi di sicuro il Cromo è tra i più importanti (Glucontrol Base o Picocromo Super Concentrated, al dosaggio di 1 compressa/capsula al giorno) mentre alcuni sali di magnesio (MG3) si affiancano all’inositolo (una particolare vitamina che aiuta la regolazione del consumo energetico) nel riequilibrio del metabolismo zuccherino. Anche l’utilizzazione della vitamina B6 può essere di supporto nella regolazione di questo problema.