Conoscere e misurare i danni da zuccheri: cos’è la glicazione
Tutti gli zuccheri, come glucosio, saccarosio e fruttosio, e anche le sostanze che vengono metabolizzate attraverso vie simili, come l’alcol e tutti i polioli (mannitolo, xilitolo e sorbitolo), purtroppo sempre più utilizzati come dolcificanti, possono diventare dannosi.
Gli zuccheri non sono “cattivi” per se stessi, tanto è vero che gli esseri umani hanno addirittura un ormone dedicato a stimolarne la ricerca e il consumo (NPY). Questo ormone è stato salvifico nel Paleolitico e anche prima, quando gli zuccheri erano rari e la loro ricerca diventava utile alla sopravvivenza.
Oggi invece, momento storico in cui la disponibilità di zuccheri, sia evidenti sia nascosti, è esagerata e quotidiana, gli zuccheri possono e devono mantenere la loro funzione sociale, culturale e di stimolo del piacere, quando sono assunti in modo consapevole, nel rispetto della individualità di risposta di ogni persona. Un loro uso ripetuto e quotidiano può diventare fonte di danno diretto e di induzione allo sviluppo di malattie croniche di forte impatto individuale e sociale (problemi cardiologici, malattie tumorali, diabete, Alzheimer, demenze senili e malattie autoimmuni).
I picchi di glicazione
Per anni si è pensato che bastassero i valori di glicemia a indicare gli effetti degli zuccheri nell’organismo. Invece si sta scoprendo che gli effetti dannosi derivano dai picchi che si determinano nell’organismo. Basti un esempio semplice: in media una persona a digiuno ha circa 2,5 grammi di glucosio circolante nell’organismo. Una tazzina di caffè con due cucchiaini di zucchero determina, nel giro di pochissimi minuti, un picco di glucosio e fruttosio nel sangue di 12 grammi di zuccheri circolanti (cioè circa 6 volte tanto), che determinano la formazione di sostanze ossidanti e pericolose.
Lo stesso può avvenire con un eccessivo carico di frutta o di dolcificanti o mangiando “barrette”, che sono purtroppo piene di polioli. Le sostanze che si formano sono definite glicotossine, un nome che segnala che non fanno certo del bene, e che portano a creare una “caramellizzazione” delle proteine, degli enzimi e del DNA.
Con la glicazione (o glicosilazione, come viene anche definita) e con il possibile danno dei tessuti, le sostanze che si formano nell’organismo sono appunto glicotossine chiamate anche allarmine, di cui la più nota è la HMGB1 – High Mobility Group Box 1. Queste sono cruciali per l’attivazione di reazioni allergiche, aumentando il livello di infiammazione.
Una ricerca approfondita, pubblicata su JACI nel febbraio 2017, ha messo in correlazione l’aumento delle allergie alimentari evidente a livello mondiale con l’aumentata assunzione alimentare degli zuccheri appena descritti che facilitano appunto la glicazione (Smith PK J Allergy Clin Immunol. 2017 Feb;139(2):429-437. doi: 10.1016/j.jaci.2016.05.040. Epub 2016 Jul 15).
Significa che una persona, bimbo o adulto che sia, potrebbe non manifestare segnali infiammatori verso un cibo, ma la contemporanea assunzione eccessiva o quotidiana di zuccheri può trasformare una semplice reazione di “riconoscimento alimentare” in una sorta di reazione allergica alimentare vera e propria, in una reazione infiammatoria da zuccheri e alimenti o in una reazione simil-allergica.
I prodotti glicosilati, chiamati appunto anche glicotossine o allarmine, sono numerosi. Il più noto è il metilgliossale (o metilglioxale o MGO) che è una sostanza ossidativa, che genera infiammazione, induce resistenza insulinica ed è purtroppo anche cancerogena, essendo capace di danneggiare il DNA. Il fruttosio è una sostanza chiave nella sua formazione.
La glicazione è indotta soprattutto dagli zuccheri. In particolare il saccarosio (glucosio + fruttosio) e il fruttosio sono tra i prodotti che crediamo “naturali” e che invece al di fuori del loro contesto “vero” (la frutta fresca e intera ad esempio) generano la formazione di prodotti di glcazione pericolosi. L’innalzamento della glicemia o i picchi di fruttosio o di alcol o di polioli portano alla facile glicazione di alcune proteine e alla loro trasformazione in prodotti dannosi.
Molti lavori hanno specificato che i bambini che bevono soft drink o che usano bevande alla frutta ad alto contenuto di fruttosio (come i terribili succhi iperfiltrati descritti come “naturali”) hanno frequenti manifestazioni di tipo allergico alimentare, con tutta probabilità dovute alla azione infiammatoria dei prodotti di glicazione. Di sicura utilità ricordare che questi stessi prodotti sono messi da molti autori in stretta correlazione con la comparsa di Alzheimer.
Il lavoro di Smith et al. appena descritto propone quindi una ipotesi molto convincente sull’aumentata prevalenza di allergie alimentari. Le spiegazioni attuali sui possibili modelli di malattia nei paesi occidentalizzati non riescono infatti a spiegarne la drammatica crescita degli ultimi anni. Gli zuccheri che formano prodotti di glicazione rappresentano perciò il possibile anello mancante.
Emoglobina glicata e glicemia non più in grado di intercettare prediabete e danni da zuccheri
Nel 2019, le più importanti riviste diabetologiche internazionali (tra cui Lancet, Cochrane Review e Acta diabetologica) hanno segnalato che la rilevazione di questi biomarcatori non è effettivamente sufficiente a identificare l’evoluzione verso il diabete di tipo 2 e hanno chiarito che i valori di emoglobina glicata e di glicemia a digiuno, anche se utili sicuramente per seguire l’andamento diabetico, non sono però in grado di valutare in anticipo se una persona sta evolvendo verso la malattia diabetica o meno. Si parla di una percentuale della popolazione occidentalizzata che in USA e Cina rappresenta anche il 32-35% della popolazione (intorno ai 50-60 anni) e che in Italia, anche se siamo più “fortunati”, tocca comunque il 18-20% della popolazione, con un trend purtroppo in veloce crescita.
In aiuto a questa carenza sono arrivati lavori che caratterizzano appunto l’importanza di altri biomarcatori, come l’albumina glicata e il metilgliossale, che consentono invece di valutare questo aspetto e di mettere in moto una vera ed efficace prevenzione nutrizionale.
I valori di emoglobina glicata, utili come detto per seguire una forma di diabete già comparsa, non sono quindi in grado di indicare se una persona sta evolvendo verso il diabete. Questo perché l’emoglobina glicata, bene annidata nei globuli rossi e quindi protetta da una membrana cellulare, non legge i valori di fruttosio, gli effetti dell’alcol e i picchi di glicemia, limitandosi solo alla lettura dei valori medi della glicemia degli ultimi tre mesi.
L’albumina è invece fuori dal globulo rosso e può rilevare, attraverso la glicazione, tutte le variazioni del livello dei diversi zuccheri presenti nel sangue. I suoi valori sono quindi decisamente più interessanti perché segnalano anche gli squilibri nutrizionali che si sono verificati occasionalmente e indicano con chiarezza se la persona ha avuto dei carichi improvvisi.
Vale la pena ricordare che riuscire ad intercettare una condizione di prediabete e a fermarne l’evoluzione, garantisce, secondo quanto pubblicato sullo European Heart Journal già dal 2008, dagli 8 ai 13 anni di vita qualitativamente attiva e valida in più rispetto a chi il diabete non lo previene.
Come e dove misurare questi biomarcatori
La possibilità di misurare i valori di metigliossale e i valori di albumina glicata, a fianco ovviamente dei classici indicatori di metabolismo come la glicemia a digiuno, la glicemia post-prandiale, la curva glicemica e insulinica da carico, diventa uno strumento potente. In particolare sembra che il metilgliossale agisca contemporaneamente da segnalatore della alterata sensibilità agli zuccheri e dall’altra da induttore dello sviluppo diabetico.
L’infiammazione da alimenti e da zuccheri può oggi essere misurata per arrivare ad una impostazione terapeutica personalizzata. Test PerMè (che studia insieme l’infiammazione da alimenti e da zuccheri), Food Inflammation Test (BAFF, PAF e Profilo alimentare personale) e GlycoTest (Metilgliossale, Albumina glicata e predisposizione genetica a obesità e diabete) fanno ormai parte di una possibilità diagnostica utilizzabile da chiunque abbia cura della propria salute.
Si tratta di esami che in diversi laboratori e università del mondo sono stati usati a scopo di ricerca e validati sul piano scientifico e che il nostro gruppo di lavoro è riuscito a integrare, per una valutazione anche sul sano, e rendere fruibili in modo più semplice e che consentono, soprattutto, di personalizzare le esigenze nutrizionali di ogni individuo nel rispetto delle sue caratteristiche genetiche e comportamentali.
Informazioni più approfondite su questi test si possono trovare sul sito GEK Lab che segnala in modo aggiornato le farmacie italiane e i centri che li effettuano; tale elenco è in costante espansione grazie al progressivo inserimento delle farmacie che effettuano i corsi di aggiornamento necessari. Si tratta di strutture che hanno seguito la formazione specifica per il supporto alla applicazione del GlycoTest e del test PerMè.
Per approfondimenti si segnala anche la puntata de “Il mio medico” andata in onda su TV2000 l’11 febbraio 2020.