Terapia antiallergica: integrare controllo infiammatorio e iposensibilizzanti a bassa dose
Le manifestazioni allergiche possono dipendere da molte sostanze, tra le quali troviamo acari, pollini, alimenti, zuccheri e muffe ma una visione più allargata di queste patologie aiuta a comprenderne gli aspetti che coinvolgono l’intero organismo fornendo spunti per una terapia efficace.
La ricerca recente ha documentato ad esempio, che anche per allergie gravi ad alimenti si possono usare basse dosi di allergene per curare queste condizioni. Uno studio giapponese, pubblicato nel maggio 2020 su Pediatric Allergy and Immunology, ha confermato la sua efficacia nelle forme di allergia al frumento (IgE mediata), riprendendo i risultati di un precedente lavoro del gruppo di Hugh Sampson pubblicato nel febbraio 2019 sul Journal of Allergy and Clinical Immunology.
Sempre più infatti si comprende che è difficile curare i sintomi allergici senza una visione sistemica della persona. Ci sono situazioni importanti di allergia vera, mediata dalle IgE e da cui ci si deve tutelare in modo preciso e documentato ma nella maggior parte dei casi il polline o l’alimento sono in realtà la “goccia che fa traboccare il vaso” e quindi si deve certo tenere in considerazione l’allergene responsabile, controllando allo stesso tempo l’infiammazione da zuccheri e quella da alimenti.
Le manifestazioni allergiche si confondono spesso con quelle infiammatorie e con quelle simil-allergiche e se anche i meccanismi che le generano sono in parte diversi, tutte interagiscono con forza tra di loro nel provocare i sintomi che caratterizzano la malattia.
Che si tratti di asma, di rinite allergica, di dermatite, di orticaria o di reazione al Nichel, oggi sappiamo che il trattamento corretto deve integrare aspetti alimentari di controllo infiammatorio, attivazione della tolleranza immunologica, corretto uso degli eventuali farmaci e ripristino dei corretti livelli di minerali e vitamine nell’organismo.
Per anni la Medicina si è accanita nel cercare di allontanare dall’ambiente la sostanza ritenuta “responsabile” di allergia. È stata spesso richiesta l’eliminazione di cibi per le allergie alimentari e si sono attuati infiniti tentativi di bonifica ambientale per le reazioni agli acari o alle muffe. Fino al 2017 non si è tenuto in nessuna considerazione il fatto che ben il 62% delle reazioni allergo-infiammatorie un po’ complesse (in cui non si riusciva a identificare un singolo agente responsabile) potesse dipendere anche dagli effetti di una ingestione individualmente eccessiva di zuccheri (glicazione) o dalla infiammazione da alimenti (evidenziabili e misurabili con i test GEK Lab).
La eliminazione di un allergene o le bonifiche ambientali rigorose hanno anche i loro effetti “collaterali”. Può capitare infatti che un bambino allergico agli acari, che respira abbastanza bene a casa propria, dove c’è una pulizia estrema, passerà poi la notte in Pronto Soccorso la prima volta che va a dormire da un amico o trascorre qualche giorno di vacanza in un albergo con moquette o con le pareti umide.
Le soluzioni per fortuna ci sono, e sfruttano le nuove conoscenze della moderna immunologia, che da qualche anno ha compreso che le reazioni allergiche sono solo la punta di un “iceberg” legato alla complessiva infiammazione dell’organismo e che nel caso in cui un singolo allergene (acari, pollini, muffe) abbia davvero una responsabilità diretta, la via migliore per guarire è quella di indurre tolleranza immunologica per tornare “amici” della sostanza allergizzante. Polline o alimento che sia.
La terapia iposensibilizzante (quella cioè “antiallergica”) può agire dall’esterno sul sistema immunitario per indurre tolleranza. Quella a bassa dose, può essere utilizzata sia nel caso di reazioni alimentari sia, con estrema efficacia, nel trattamento delle allergie respiratorie: si tratta di uno dei sistemi di terapia più interessanti e innovativi degli ultimi anni.
Nel centro SMA in cui lavoro, insieme al team medico e nutrizionale seguiamo da anni le persone con patologie allergiche attraverso percorsi terapeutici personalizzati che considerano sia l’aspetto infiammatorio da zuccheri e da alimenti, sia la classica diagnosi allergologica, integrando nella terapia le diverse tecniche di trattamento e di prevenzione.
Che si tratti di allergie alimentari, di infiammazione da zuccheri o da alimenti o di allergie respiratorie (congiuntivite, asma, rinite, cheratite, russamento o roncopatia eccetera), l’integrazione terapeutica consente di migliorare o curare queste condizioni in un cammino verso la guarigione.
In pratica, si può scegliere una particolare concentrazione di sostanza alimentare o una specifica concentrazione a bassa dose di allergene respiratorio (oggi utilizziamo preparazioni prodotte da Anallergo per gli allergeni respiratori) e si inizia la somministrazione quotidiana del rimedio per consentire il recupero della tolleranza.
Attraverso la quantità di allergene e la modalità con cui l’allergene entra in contatto con il sistema immunitario si possono ottenere effetti diversi.
Se le alte dosi di allergene creano una sorta di “annegamento e paralisi” del sistema, cioè bloccano la reazione, ma solo nei confronti di quell’allergene, senza intervenire sulle altre concause, le basse dosi determinano invece una differente regolazione delle cellule che comandano la partenza della reazione; riescono cioè ad agire “a monte”, modulando e controllando le reazioni, talvolta, verso tutte le allergie attive nell’organismo.
Questo significa che le preparazioni a bassa dose sono in grado di prevenire efficacemente le manifestazioni allergiche acute e di favorire la rieducazione dell’organismo alla tolleranza nei confronti dell’ambiente circostante e anche degli altri allergeni corresponsabili dei sintomi allergici.
In pratica oggi sappiamo che la bassa dose non agisce solo sulle cellule B (quelle che producono gli anticorpi) ma sulle cellule Treg, le cosiddette cellule che regolano tutte le reazioni allergiche dell’organismo. Un po’ come arrivare al centro di controllo anziché fermarsi alla periferia.
Nella pratica clinica, l’allergologia ha sempre mosso i suoi passi verso l’induzione di tolleranza ad alta dose (high dose tolerance), occupandosi poco della tolleranza a basso dosaggio (low dose tolerance). Questo tipo di intervento, in particolare in associazione con la riduzione dell’infiammazione da cibo e con l’abbassamento del livello di soglia individuale, può rappresentare un’arma formidabile per intervenire nella regolazione del sistema immunitario.
La tolleranza a bassa dose nel trattamento delle ipersensibilità
È noto che l’immunoterapia specifica ad alto dosaggio nei confronti degli allergeni alimentari o respiratori può avere alcuni aspetti di rischio per qualsiasi soggetto allergico.
La possibilità di agire attraverso una induzione di tolleranza “a bassa dose” rende invece percorribile la strada della iposensibilizzazione in modo assai più agevole e molto più sicuro e ormai sono sempre più numerose le esperienze di trattamento di forme allergiche anche gravi con questo tipo di modalità.
È stata addirittura proposta in passato una induzione di tolleranza a molteplici allergeni alimentari da effettuare in modo progressivo e graduale, considerata efficace e sicura per il trattamento della poliallergia alimentare (Begin P et al, Allergy, Asthma & Clinical Immunology 2014, 10:1 doi:10.1186/1710-1492-10-1).
Il meccanismo della tolleranza a bassa dose è stato verificato efficace anche nella guarigione di forme gravi di allergia alimentare come quella all’uovo, quella nei confronti delle arachidi e quelle nei confronti del latte, aiutando soggetti gravemente a rischio di shock anafilattico a guarire dalla loro malattia, riprendendo ad assumere i cibi precedentemente a rischio.
La mia prima comprensione del meccanismo di regolazione “a monte” (cioè non specifica solo dell’allergene usato) risale ai primi anni della mia vita professionale. Ricordo le esperienze iniziali con i trattamenti iposensibilizzanti a bassa dose alle betulle. Spesso accadeva che a soggetti poliallergici respiratori (ad esempio a betulla e graminacee) venisse proposto un doppio trattamento: prima alle betulle e poi alle graminacee, visto che nella stagione arrivano prima i pollini delle betulacee e poi quelli più diffusi delle graminacee. Mi accorsi che spesso le persone iniziavano il trattamento iposensibilizzante alla betulla e inavvertitamente proseguivano con lo stesso tipo di trattamento anche durante la stagione delle graminacee, ottenendo ottimi risultati di controllo della sintomatologia anche nei confronti dei pollini verso cui non stavano facendo una terapia specifica.
Questo ci obbligò a riflettere sul fatto che essendo sicuramente trascorsa la stagione delle betulle, doveva esistere una inibizione “accessoria” su altri antigeni similari o anche del tutto differenti, grazie ad una azione di regolazione e modulazione diversa.
Prospettive future
Nel momento in cui si identificano nuove possibili strade di modulazione immunitaria, attraverso meccanismi semplici di trattamento e sicuramente molto meno a rischio di effetti tossici o collaterali indesiderati, si opera un salto qualitativo enorme.
Grazie a questo salto qualitativo è possibile che in futuro si possano prevenire o curare in modo molto più “morbido” ed efficace patologie che fino ad oggi incutono solo angoscia e timore.
Situazioni analoghe si verificano nel caso di persone affette, ad esempio, da rinocongiuntivite e/o asma controllabile terapeuticamente con sostanze farmacologiche.
L’uso di preparazioni vaccinali a bassa dose per gli acari o per i miceti (quindi allergeni perenni) ha dato conto di risultati molto importanti nelle patologie infiammatorie respiratorie croniche e nei confronti di reazioni oculari gravi come la cheratite o le cheratocongiuntiviti ricorrenti. In relazione ad una azione di tolleranza generalizzata, l’uso di un vaccino per gli acari diventa spesso supporto “inaspettato” per una dermatite allergica o per un eczema.
All’uso della terapia iposensibilizzante si deve affiancare il controllo dell’infiammazione indotta da zuccheri o da alimenti. Attraverso il test PerMè, che studia sia la glicazione sia l’infiammazione da cibo, si riesce ad indagare il profilo alimentare di ogni persona e diventa possibile affiancare alla terapia farmacologica o iposensibilizzante la più appropriata indicazione nutrizionale. Da quando sono stati capiti i possibili effetti della glicazione sulle patologie respiratorie, numerosi lavori hanno evidenziato come, ad esempio, l’asma potrebbe essere controllata attraverso la riduzione effettiva degli zuccheri introdotti nell’organismo.
Attualmente non può e non deve essere provata o testata, al di fuori di ambienti controllati, qualsiasi preparazione che contenga ad esempio uovo o arachide in soggetti che hanno alti valori di IgE specifici (anche se non sappiamo il tipo di affinità esistente) e che dopo una reazione anafilattica evidente non hanno mai più reintrodotto quel cibo nell’alimentazione. La terapia, oggi possibile, di queste forme deve essere effettuata da medici esperti. Nel secolo scorso si credeva che la tolleranza non fosse più inducibile, oggi sappiamo invece che grazie a tecniche simili allo svezzamento infantile anche il grave allergico alimentare può guarire e tornare a vivere un rapporto fisiologico con gli alimenti.
Si può dire che la pratica clinica di oggi è nata dalla considerazione (già attiva negli anni ’80) delle allergopatie come disturbi di regolazione globale, e ha consentito pertanto di muoversi attraverso l’uso di tecniche e preparati a questo indirizzati. Gli studi recentissimi sulla glicazione e sull’effetto pro-allergizzante degli zuccheri ha confermato questo tipo di percezione.
Durata della terapia iposensibilizzante
Per gli allergeni respiratori (ad esempio per le graminacee) la terapia è solitamente stagionale (con inizio 2 mesi prima della pollinazione e termine alla fine della stessa), ma una buona percentuale di individui sembra rispondere bene anche all’uso contestuale alla pollinazione. In caso di allergeni perenni (quali acari, muffe, candida) l’uso può anche essere continuato nel tempo. Tuttavia, in un’elevata percentuale di casi, dopo 12-18 mesi di trattamento si tenta in genere la sospensione della terapia, valutandone gli effetti.
L’utilizzo contemporaneo di alcuni integratori ad azione antiallergica (come Zerotox Ribilla, Quercitina, Olio di Perilla, Zerotox Inositox, Olio di Ribes nero, Oximix 3+) può essere di forte impatto sul recupero della tolleranza e sulla guarigione.