Sindrome del colon irritabile e infiammazione da cibo: una relazione più che confermata
La sindrome del colon irritabile, anche definita IBS, dall’inglese Irritable Bowel Syndrome, è una patologia piuttosto comune nella popolazione mondiale, con un’incidenza del 12%.
Si manifesta con un quadro patologico e sintomatologico estremamente variabile tra cui la modifica della frequenza di evacuazione, gonfiore, presenza di gas e altri sintomi che influenzano in modo importante la vita quotidiana e lo status psicologico del paziente.
Il primo approccio è sicuramente una diagnosi accurata; il medico sarà quindi in grado di definire se si tratta di colon irritabile oppure di altre patologie.
Una volta escluse le patologie più gravi, la terapia per questo tipo di sindrome è piuttosto variabile, ma è certo che l’aspetto nutrizionale gioca un ruolo importante.
Alcuni comportamenti alimentari come, ad esempio, la ripetitività di certi alimenti e il consumo eccessivo di zuccheri possono contribuire a mantenere uno stato infiammatorio latente, che nel tempo può determinare l’insorgenza di molteplici sintomi e patologie.
La sindrome del colon irritabile fa parte, infatti, di una categoria di patologie infiammatorie intestinali e come tale deve essere trattata.
A primo impatto, il paziente che riceve una diagnosi di IBS, pensa di dover escludere alcuni alimenti dalla propria dieta e i primi che vengono sacrificati sono spesso il glutine e i latticini.
Non vi è evidenza scientifica che eliminare un alimento sia benefico per l’intestino e l’intero organismo; tuttavia, il paziente può provare nei primi periodi un valido beneficio. Qual è la ragione?
Nel momento in cui si assumono quotidianamente degli alimenti (e glutine e latticini sono alla base della cucina italiana) è normale che togliendoli avvertiamo beneficio poiché si agisce esclusivamente riducendo temporaneamente l’infiammazione. Il nostro corpo è stufo di nutrirsi sempre degli stessi alimenti; tuttavia, il beneficio a lungo termine non è assicurato; nel momento in cui si inizia a eliminare alimenti dalla propria dieta si restringe la variabilità alimentare e ci si ritrova a mangiare pochissimi alimenti, fino a quando anche questi provocheranno fastidio.
Nel centro SMA in cui lavoro, il nostro motto è “nessun cibo è nemico” ma è la varietà alimentare che ci preserva dagli stati infiammatori.
L’esecuzione di un test Recaller che evidenzi il proprio profilo personale e permetta di comprendere quali alimenti in quel momento ci stanno dando qualche fastidio (legato alla ripetitività degli stessi), è una strategia utile che consigliamo sempre a chi viene nel nostro studio con questi sintomi.
Una volta evidenziato il proprio profilo alimentare, i gruppi alimentari emersi non vengono eliminati, bensì “devono” essere ridotti per qualche periodo e piano piano reinseriti per recuperare l’amicizia nei loro confronti.
Ed è per questo che nelle prime settimane di dieta di rotazione si consiglia di tenere 7 pasti liberi in cui poter reintrodurre gli alimenti emersi dal test; in questo modo il nostro sistema immunitario comprende che non sono cattivi, bensì che sono stati utilizzati in maniera errata e reinserendoli in maniera graduale sarà possibile recuperare l’amicizia nei confronti degli stessi (e di conseguenza avvertire un miglioramento sui sintomi).
In assenza di un test Recaller o in attesa del suo referto, è possibile iniziare a migliorare i sintomi dai IBS iniziando a variare il più possibile: se spesso utilizziamo carboidrati a base di solo frumento sarà possibile osservare come in realtà ci sono tantissimi altri cereali come il grano saraceno, il riso integrale, il mais, ma anche quelli meno conosciuti come il teff, il sorgo, l’amaranto ormai popolano gli scaffali dei supermercati e sono facilmente reperibili.
Così come variare la propria colazione, alternando il latte di mucca a quello di mandorla oppure a quello di soia, o variando con una tisana o un tè o le fonti proteiche della colazione alternando tra il classico yogurt a una versione più salata con delle uova alla coque.
Anche l’utilizzo quotidiano ed eccessivo di zuccheri ha un ruolo preponderante nel produrre infiammazione ed è per questo che è importante non tanto privarsi sempre del dolce a fine pasto, ma ridurne la quotidianità.
Lo zucchero nel caffè (o il dolcificante), il biscotto a fine pasto così come il cioccolatino o il bicchiere di vino serale, se presi in maniera occasionale non fanno del male a nessuno; tuttavia, l’eccesso e l’utilizzo giornaliero implicano un aspetto infiammatorio importante che porta l’intestino ad essere “irritato”.
L’esecuzione di un Glyco Test ci permette di personalizzare le nostre scelte zuccherine e comprendere effettivamente quanti pasti dolci settimanali sono consentiti; tuttavia, già porsi l’obiettivo di ridurre lo zucchero quotidiano, ad esempio quello del caffè, è un buon primo passo.
Fibra e acqua infine sono un rimedio importante per chi soffre di colon irritabile.
Il giusto apporto di fibra è fondamentale per l’intestino, ma spesso in situazione di evacuazioni ricorrenti si pensa di doverle limitare.
L’uso graduale e progressivo di cereali integrali (ad esempio mischiando qualche chicco di riso integrale a quello bianco per poi aumentarne la quantità) è una strategia che proponiamo spesso per avvicinarsi a mangiare più integrale senza avere fastidi spiacevoli.
L’acqua invece è un prezioso alleato per l’intestino: aiuta la motilità intestinale e rende le feci più morbide. Nel caso in cui le evacuazioni siano sporadiche, aggiungere qualche bicchiere di acqua in più al giorno, potrebbe essere la strategia vincente. Per ricordarsi di bere si può utilizzare qualche semplice trucchetto.