Intollerante al lattosio: come mi comporto a tavola?
Il latte è un componente fondamentale della dieta; oltre che costituito da proteine, grassi, vitamine e minerali, è dotato di una quota di carboidrati composta da lattosio e altri oligosaccaridi.
Il lattosio è un disaccaride, risultante dall’unione di 2 zuccheri semplici, il galattosio ed il glucosio. Il lattosio viene scisso nei 2 zuccheri semplici dall’enzima lattasi. Senza questo enzima il lattosio non può venire scomposto e quindi digerito.
Già all’ottava settimana di gestazione l’enzima è presente sulla superficie della mucosa del piccolo intestino. La sua attività cresce fino alla 34esima settimana e raggiunge il massimo di espressione alla nascita. Tuttavia, dopo i primi mesi di vita l’attività della lattasi inizia a decrescere a volte fino alla scomparsa.
Cosa vuol dire intolleranza al lattosio?
L’intolleranza al lattosio rappresenta una delle due intolleranze scientificamente validate.
Per intolleranza si intende l’incapacità di digerire il lattosio a causa di un deficit dell’enzima lattasi. Tale deficit può manifestarsi attraverso forme congenite (forme gravi, diagnosticate alla nascita) oppure semplicemente legate alla non persistenza della lattasi durante il decorso della vita. La massima espressione della lattasi è infatti durante le prime fasi della vita, dove l’alimentazione del neonato è esclusivamente a base di latte.
L’intollerante al lattosio presenta una serie di sintomi; infatti, lo zucchero, che non viene completamente idrolizzato, viene fermentato dai batteri richiamando acqua nell’intestino e determinando quindi diarrea, borborigmi, meteorismo, flatulenza e pancia gonfia.
Tale soggetto non è costretto a rinunciare al lattosio in maniera totale, infatti il deficit di lattasi generalmente non è assoluto (come nelle forme congenite). Pertanto, con opportune misure, il paziente può evitare di escludere completamente il latte e i derivati dall’alimentazione, prevenendo i deficit nutrizionali ai quali questa drastica misura predispone.
Tuttavia, quando si scopre di essere intolleranti al lattosio spesso si tende ad eliminare definitivamente alimenti come latte e derivati. Nel centro SMA in cui lavoro lavoriamo proprio con l’obiettivo di insegnare che nessun cibo è nemico, neanche il povero lattosio.
I soggetti intolleranti al lattosio, infatti, spesso presentano disturbi dose-dipendenti. Piccole quantità di lattosio riescono a tollerarle; un caffè macchiato, un velo di ricotta o un cubetto di mozzarella sono piccole quantità che anche tali soggetti possono consumare serenamente.
Ad oggi, quindi, la raccomandazione obsoleta di evitare tutti i latticini nei pazienti con diagnosi di intolleranza non è più consigliata in quanto si è osservato che la maggior parte dei pazienti può tollerare fino a 5 g di lattosio per singola dose, l’equivalente di 100 ml di latte.
Come comportarsi a tavola?
In commercio ad oggi è possibile reperire latte delattosato, con un contenuto di lattosio che non supera di solito lo 0,1%.
Se ne consideriamo l’uso in piccole quantità (ad esempio il caffè macchiato) il consiglio è di utilizzarlo con lattosio, vista la capacità di poterlo tollerare. Tuttavia, provare comunque a reintrodurlo con gradualità, aumentandone piano la quantità potrebbe essere un’ottima strategia per consumarlo in assoluta serenità.
L’utilizzo di formaggi naturalmente privi di lattosio è sicuramente una soluzione ottimale per non eliminare, ma variare il più possibile le scelte alimentari a tavola.
Infatti, in determinati formaggi il lattosio è naturalmente ridotto grazie al particolare processo produttivo (fermentazione e stagionatura), fino a risultare quasi assente. Pertanto, formaggi come parmigiano reggiano, pecorino, groviera, emmental e gorgonzola (ma anche molti altri) potranno essere consumati con serenità dal soggetto intollerante.
Se nella stagione estiva non vogliamo rinunciare a una insalatona con qualche cubetto di formaggio potremo quindi optare per formaggi più stagionati (cubetti di emmental, scaglie di grana, scamorza, asiago) e se proprio non vogliamo rinunciare al gusto dei formaggi freschi, ne utilizzeremo in quantità nettamente inferiore rispetto agli altri formaggi (proprio per l’effetto dose-dipendente).
Da preferire, per il mattino, lo yogurt greco, che presenta tracce di lattosio, anche se un vasetto di yogurt intero non arriva a superare i 5 grammi di lattosio tollerati dalla maggior parte dei pazienti.
Se l’eliminazione di lattosio con la dieta non porta ai risultati sperati, ma persistono dei sintomi che si pensavano fossero collegati al povero lattosio, è probabile invece che vi sia una reattività alle proteine del latte. Quest’ultima, infatti, comporta una reattività nei confronti di tutti i prodotti lattiero-caseari, compresi quelli delattosati.
In tali soggetti anche l’utilizzo di una minima quantità di latte (anche senza lattosio) può provocare fastidio; il caffè macchiato, il velo di ricotta sulla fetta biscottata o la spolverata di parmigiano sulla pasta. Perché?
La riduzione del lattosio non comporta l’eliminazione delle proteine del latte, che sono quindi contenute sia nel latte con lattosio sia in quello senza, così come nei formaggi stagionati (naturalmente privi di lattosio).
In questo ultimo caso l’esecuzione di un test Recaller 2.0 e l’aderenza a una dieta di rotazione che preveda non l’esclusione, ma la sola riduzione quotidiana di alimenti con proteine del latte, può portare a un miglioramento dei sintomi e al raggiungimento del benessere, mantenendo nella nostra dieta una buona e discreta quantità di lattosio.
Per tale motivo nella pratica clinica insegniamo a non fermarsi a una diagnosi di intolleranza al lattosio (che risulterà estremamente probabile nella maggior parte della popolazione, vista la riduzione dell’enzima lattasi), ma indagare altre cause potrebbe essere la strategia più ottimale per continuare a mangiare con serenità anche il povero lattosio ed evitando inutili eliminazioni.