Far fuori il gatto o comprarne uno in più?
Intorno al gatto e alla sua capacità di determinare allergia (o tolleranza) è nato un interessantissimo dibattito che ha visto fronteggiarsi, nella sala gremita da almeno 1500 delegati, l’inglese Adnan Custovich (a favore dell’eliminazione) e lo statunitense Thomas Platts-Mills (a favore dell’acquisto).
I due ricercatori, entrambi possessori di gatti, hanno intrattenuto l’assemblea per 90 minuti con affabilità, dimostrando che anche la comunicazione scientifica può transitare in modo “simpatico” verso chi la deve poi utilizzare nella pratica clinica. Dagli studi sono emersi alcuni elementi contraddittori. Infatti ogni dato ormai va inserito in un contesto ambientale preciso.
Il fatto che in Kuwait chi possiede un gatto (e sono pochissimi) ha una altissima incidenza di asma “da gatto” non deve confondere, perché in quella regione del mondo, dove gli acari della polvere sono scarsi, gli allergeni del gatto, cioè le sostanze che possono innescare l’allergia, diventano dominanti. Le persone subiscono così, in un certo senso, la loro presenza, perdendo con facilità i meccanismi di controllo.
In Gran Bretagna invece, dove l’ampia diffusione di tappeti e moquette determina un’elevatissima presenza ambientale di acari della polvere, la presenza degli allergeni del gatto diventa secondaria, e determina una riduzione della reazione non solo al gatto, ma anche allo stesso acaro della polvere (dermatofagoides).
Diventa allora sostanzialmente inutile mettere in atto manovre come quella di lavare il gatto (si dovrebbe farlo ogni giorno, perché dopo un giorno di calo ambientale degli allergeni, la loro presenza risale vertiginosamente entro le 48 ore successive al lavaggio), oppure quella di passare al setaccio la casa con un potente aspirapolvere.
Ora sappiamo infatti che se ci sono tanti gatti nella popolazione, il rischio di sviluppare asma per il proprietario di un gatto è molto basso, mentre se i gatti ambientali (nella popolazione) sono pochi, il rischio per il possessore di gatti aumenta considerevolmente.
Al di là dell’aspetto specifico, si scopre ad esempio che, analizzando i bambini a 5 anni di vita, sono sicuramente protetti dall’asma “da gatto” quelli che lo hanno avuto sempre, oppure quelli che non lo hanno avuto mai. Quelli che lo hanno avuto solo per un po’ hanno una percentuale di asma maggiore. Questo vale per tutti gli animali domestici e può trasformarsi facilmente in un invito, motivato da ragioni mediche, a non abbandonare gli animali.
Un altro dato importante è che paesi come l’Inghilterra (8 milioni di gatti, e molti con più di una casa) non hanno mai avuto epidemie improvvise di asma dovute alla comparsa di sostanze che improvvisamente vengono a trovarsi in eccesso nell’ambiente. La presenza del cane e del gatto (forse perché una parte del loro antigene, il Fel 1 ha una azione di inibizione della Interleuchina 10, citochina allergizzante) svolge una specie di azione modulatoria sull’intera popolazione.
Paesi a “basso titolo” di gatti (come il Kuwait, la Spagna, la Nuova Zelanda, la Norvegia) sono stati invece esposti a fenomeni epidemici asmatici. In Spagna si ricorda ad esempio la comparsa di asma in un’enorme quantità di persone per circa 3 giorni, quando si scaricavano le navi piene di soia nel porto. Ed è occorso parecchio tempo prima che il problema fosse individuato. Sta di fatto che l’assenza “sociale” di gatti ha sicuramente contribuito alla possibile esacerbazione allergica in così tante persone (oggi le navi di di soia vengono scaricate con appositi filtri).
Teniamo il gatto, allora, senza bisogno di metterlo in lavatrice ogni giorno. E in caso di allergia, se abbiamo in casa un gatto, affrontiamo serenamente il problema con il medico di riferimento. Per altro oggi alcuni elementi di controllo come la iposensibilizzazione a bassa dose sono gestibili molto prima di dovere arrivare a prestare il gatto al vicino!