Terremoto: l’esempio virtuoso di Giappone e Usa
Anche oggi, in Emilia-Romagna, si sono avvertite scosse di terremoto. La più forte si è manifestata all’alba, con epicentro tra Ravenna e Cervia e magnitudo 4.5 gradi Richter. E’ il segno che l’energia accumulatasi nel sottosuolo in centinaia di anni – come hanno spiegato i sismologi in questi giorni – non è stata del tutto liberata.
Un’ennesima scossa tanto evidente fa nascere inevitabili domande: “Ancora? Quando finirà?”. E’ ormai da 15 giorni che l’area recintata tra le città di Mantova, Modena, Reggio Emilia, Bologna, Ravenna, Ferrara e Rovigo è costretta a fare i conti con continui fenomeni sismici. Più continui, però, di quanto crediamo. E i numeri – come spesso capita – ci aiutano a capire il fenomeno.
Basta infatti seguire i tweet dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia per realizzare come nella sola giornata di ieri si siano registrate 26 scosse. A rilevarle sono stati i sismografi, più che le persone, avendo avuto una magnitudo compresa tra i 2.1 e i 3.0 gradi Richter. Tolte una tra Benevento e Avellino, una nei dintorni di Potenza e un’altra in Sicilia, le altre 23 si sono concentrate nella suddetta area padana. La sintesi di quella casistica è semplice: la Terra ha un suo respiro, perciò trema. E’ un fatto, questo, con cui si dovrà convivere.
In che modo? Su Eurosalus abbiamo parlato spesso – in particolare, in occasione di un evento tenutosi lo scorso dicembre a Milano – di “cambio di paradigma”, intendendolo come la necessità di modificare il proprio status quo mentale per abbracciarne uno nuovo con cui interpretare il mondo e i suoi cambiamenti. Quel cambio è necessario anche in questo caso, per sviluppare una consapevolezza diversa nei riguardi di un evento – il terremoto – che, pur restando straordinario, lo è meno di un tempo.
Cambiare paradigma significa dunque capire che capire che l’Italia è più sismica di quanto abbiamo appreso nelle lezioni di scienze ricevute a scuola, dove ci è sempre stato detto che la Pianura Padana era una zona meno a rischio di tante altre nel Paese. La realtà di questi giorni smentisce quella nozione, ma diventa occasione importante per una coscienza che contempli l’eventualità del terremoto nel nostro quotidiano.
Maturarla, quella coscienza, aiuta a gestire l’emotività che inevitabilmente è solleticata in questi casi. Magari aiuta a ricorrere all’ansiolitico solo in casi estremi, e a gestire il controllo di se stessi aiutandosi con quel che ci dà la natura (ne abbiamo parlato nei giorni scorsi a proposito di quanto può fare a riguardo la Tilia tomentosa). E magari spinge a prendere esempio da cittadini di paesi che hanno con le manifestazioni sismiche una familiarità decisamente spinta.
Parliamo per esempio della California, dove ogni anno si tiene la giornata nazionale del grande “shake out” (letteralmente, lo “scossone”). La California, com’è noto, convive da sempre con l’attesa del momento del cosiddetto Big One, il terremoto devastante che ciclicamente la tocca. Non abbiamo detto “probabilità”, ma “attesa”: le statistiche dicono che ogni 150 anni vi si verifica un sisma fortissimo. L’ultimo è stato nel 1908 – il celebre terremoto che rase al suolo San Francisco -, e ciò determina il 63% di possibilità che nei prossimi 30 anni si verifichi una scossa da 7 gradi Richter. La giornata nazionale (la prossima si tiene il 18 ottobre) è dunque il momento in cui la California ripassa, senza ansie, le regole basilare da rispettare nel caso di “shake out”, con 8 milioni di persone che simulano le cose da fare durante e dopo lo scossone.
E poi c’è il Giappone, di cui ci siamo occupati con continuità l’anno scorso scrivendo del micidiale incrocio di eventi disastrosi cominciati l’11 marzo: il terremoto, lo tsunami, l’incidente di Fukushima. Un Paese, come la California, cui guardare per molti motivi. Storici, se vogliamo: anche in Italia infatti un terremoto provocò uno tsunami. Accadde nel 1908 con la tragedia di Messina e Reggio Calabria (oltre centomila morti, onde anomale che portarono a riva pesci abissali mai visti dai pescatori dello Stretto). Ma, ancora, il Giappone è da guardare come esempio di gestione. Lì, in particolare, è la stretta fiducia nella tenuta degli edifici, di cui si ha la certezza che siano stati costruiti secondo le norme antisismiche, a non scatenare il panico nella popolazione. Che convive con scosse continue: la mappa del servizio americano USGS sulla rilevazione dei terremoti nel mondo in tempo reale fa capire quanto dall’una e dall’altra parte del Pacifico essi siano davvero all’ordine del giorno. Anche laggiù, inoltre si tiene la giornata nazionale della simulazione (il primo settembre, in occasione dell’anniversario del sisma che nel 1924 distrusse Tokyo e Yokohama).
Ecco, la giornata nazionale della simulazione. Perché non istituirla anche da noi, magari scegliendo come data il 6 maggio, in ricordo del terremoto in Friuli del 1976? Aiuterebbe quel “cambio di paradigma” di cui abbiamo detto, fatto di consapevolezza della situazione e di una gestione delle emozioni che nulla concede all’allarmismo. In questo modo, tutto diventa più facile; anche spiegare il terremoto ai bambini, più smarriti di un adulto di fronte all’ignoto che un sisma, per sua natura imprevedibile, porta con sé.