Sorpresa svizzera: i fumatori di “erba” a rischio di diventare fumatori di tabacco
A volte – quasi sempre – ci dimentichiamo che le droghe (drugs, in inglese) sono veri e propri farmaci (drugs, in inglese, tal quale) e, di converso, che i farmaci sono droghe. Così, un po’ ingenuamente, restiamo stupiti di scoprire che i farmaci possono far male (beh, non più tanto stupiti, ormai) e addirittura sbalorditi quando leggiamo che una “droga” può anche far bene.
Eppure sappiamo tutti che la morfina, correttamente utilizzata è capace di fare del bene, uno anzi dei beni più straordinari che si possano fare a un essere umano: fa scomparire il dolore, totalmente, anche se solo temporaneamente. Il problema delle droghe è proprio lo stesso di tutti i farmaci: fanno sia bene che male. Tutto sta nel valutare quale dei due effetti sia il più decisivo: il bene (eventualmente il piacere) che se ne trae o il male (eventualmente la morte) che ne consegue.
Della marijuana o cannabis indica sono già note da tempo alcune proprietà medicinali di interesse terapeutico, che sono del resto alla base della ricorrente richiesta, da parte di alcune associazioni di consumatori e movimenti di pensiero, di renderne legale l’uso per scopi farmaceutici. Per quanto discusse, le sue virtù lenitrici del dolore, dell’ansia, dell’inappetenza, degli effetti collaterali della chemioterapia e la sua specifica efficacia nella terapia del glaucoma sono ormai documentate e ampiamente note.
Consigliarne il consumo ai giovani permane tuttavia un tabù insuperabile, sia perché si tratta di una droga illegale (e quindi acquistabile solo clandestinamente) sia perché una parte maggioritaria della letteratura considera le cosiddette “droghe leggere” come l’anticamera o il trampolino di lancio privilegiato verso l’inferno delle “droghe pesanti”.
Desta perciò un certo scalpore la diffusione dei risultati di una ricerca condotta da un gruppo di studiosi svizzeri dell’Università di Losanna e pubblicato sull’ultimo numero degli Archives of Pediatrics and Adolescent Medicine, secondo i quali gli adolescenti consumatori moderati di marijuana non soltanto non sarebbero più storditi o inetti dei loro coetanei astinenti, ma addirittura, per certi aspetti, più brillanti e vivaci (JC Suris et al, Arch Pediatr Adolesc Med 2007 Nov 11, 161(11):1042-1047).
Lo studio ha riguardato oltre 5.000 studenti svizzeri, di età comprese tra i 16 e i 20 anni: di questi meno di un decimo erano fumatori di sola marijuana, circa un terzo di marijuana e di tabacco, mentre il restante 60% era composto di giovani, almeno in questo ambito di aspirazioni, del tutto virtuosi.
Fissati alcuni parametri capaci di misurare il benessere fisico e psicologico di questi giovani (la tendenza alla socializzazione, la qualità dei rapporti con i coetanei, la pratica sportiva), è risultato – come di questi tempi era senz’altro da aspettarsi – che quelli che se la passano peggio sono i fumatori di ogni tipo d’erba: Cannabis indica e Nicotiana tabacum.
Ma la vera sorpresa è che i fumatori di sola marijuana (i quali, a differenza dei fumatori onnivori, tendono a non eccedere nel consumo) hanno fatto segnare scores più elevati di quelli ottenuti dagli altri due gruppi, cioè anche dagli astinenti totali.
Sembrerebbe lecito concludere così: “meglio una canna che niente” e, soprattutto, “meglio una canna che venti bionde”. Ma il pericolo è sempre in agguato.
Gli autori, forse spaventati dai possibili effetti di incoraggiamento al fumo del loro studio, mettono infatti le mani avanti. Attenzione: è scientificamente provato che i fumatori di marijuana sono a rischio di diventare fumatori di tabacco.
I concetti di “leggero” e “pesante” si fanno, a questo punto, sempre meno chiari.