Soppressione dell’Inran: una riflessione
L’azione del Governo di revisione della spesa pubblica – altrimenti detta spending review – ha toccato anche il campo alimentare. L’effetto più vistoso è stato la soppressione dell’Inran (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione), le cui funzioni passeranno al Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra). L’Istituto continuerà a operare fino a che diventerà esecutivo il decreto che ne sancisce la soppressione, e sempre sotto l’egida del Ministero per le Politiche Agricole, Ambientali e Forestali (Mipaaf), che ne ha fatto da “cappello” sin dal 1936, quando fu fondato con il nome di Istituto Nazionale per la Nutrizione (Inn), nome mantenuto fino al 1999.
La notizia ha suscitato sorpresa, e in qualche caso indignazione. Sentimenti giustificati dalla logica: è infatti quantomeno curioso, per non dire bizzarro, che un Paese in cui il cibo è una componente culturale di primo livello colpisca con la necessaria scure della spending review un istituto che proprio di alimentazione si occupa. Per statuto, infatti, il compito dell’Inran è di studiare gli alimenti, la loro composizione e di dettare le linee guida per una corretta nutrizione, anche al fine di prevenire problemi di salute. Da questo punto di vista, la decisione del Governo lascia perplessi anche noi di Eurosalus: l’Inran è infatti un ente centrale per la raccolta dei dati e l’attività di ricerca, e si pone come fonte importante per chi, occupandosi di questioni alimentari, ha bisogno di notizie, aggiornamenti, numeri ed elementi scientifici. E in ogni caso, la soppressione di un ente significa che chi vi lavora si trova a dover gestire un problema di occupazione. Questa non è mai una bella notizia.
Tuttavia, vogliamo vedere la decisione critica del Governo con la lente della millenaria cultura cinese, nella quale la parola da noi conosciuta appunto come “crisi” significa anche “opportunità”. In primis, è bene prestare attenzione a un fatto: i compiti e le funzioni dell’Inran non vengono soppressi, ma affidate a un’altra istituzione, il citato Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura. Il futuro ci permetterà di dare un giudizio sull’operato del Cra nel raccogliere questa non leggera eredità. Ma ora, su base puramente teorica, possiamo comunque tirare un sospiro di sollievo, perché comunque qualcuno continuerà a lavorare sul tema.
Ma soprattutto, questo cambiamento diventa occasione per metterne in atto un altro, cioè la revisione di un primato della dieta Mediterranea su tutti gli altri regimi alimentari. L’Inran ha da sempre affermato quel primato, facendolo coincidere con una italianità esclusiva. In altre parole, dici dieta Mediterranea e pensi all’Italia. Le cose non stanno proprio così, e per due motivi. Il primo è puramente geografico: il Mediterraneo non è solo l’Italia. Il secondo riguarda l’efficacia di un regime alimentare che, pur concedendo il doveroso spazio a frutta e verdura e agli oli vegetali come quello d’oliva extravergine, indulge senza risparmio su pane, pasta e carboidrati (con poca menzione della loro forma integrale, per di più), arrivando addirittura al suggerimento di dolci industriali mattutini. Una critica che, proprio di recente, abbiamo riproposto nella nostra analisi dei pro e dei contro della dieta Mediterranea. L’insistenza sui carboidrati di quel tipo e la timidezza sulle proteine genera uno squilibrio insulinico dannoso, tema su cui proprio con l’Inran abbiamo incrociato le lame della polemica.
C’è dunque in atto un cambiamento, foriero per sua natura di effetti positivi e negativi. E’ importante tenere conto di questi ultimi, ma non lo è di meno sforzarsi di vedere anche le opportunità che nascono in queste situazioni.