Pubblicità alimentare ai bambini: pericolosa “verità assoluta”
Un interessantissimo esperimento condotto da un gruppo di studiosi della Stanford University in California mette in evidenza i subdoli effetti che la pubblicità produce quando si rivolge ai bambini: i quali, almeno fino agli otto anni di età, non sono in grado di cogliere l’intento persuasivo del messaggio pubblicitario e lo scambiano per verità inoppugnabile, per oro colato.
Lo studio, pubblicato sull’ultimo numero del mensile Archives of Pediatrics and Adolescent Medicine, ha messo 63 bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni davanti a un certo numero (5 per ogni bambino) di coppie di alimenti confezionati, chiedendo loro di assaggiarli e di dire, per ciascuna coppia, quale fosse il più buono (TN Robinson et al, Arch Pediatr Adolesc Med 2007 August, 161(8):792-797).
In ogni coppia di alimenti i prodotti, assolutamente identici tra loro, erano contenuti in due cartoni diversi: uno anonimo e l’altro con il marchio McDonald’s. La preferenza data dai bambini ai prodotti firmati è risultata così marcata da sbalordire gli stessi ricercatori, che pure avevano condotto il loro esperimento proprio allo scopo di verificare questa ipotesi: che il marchio influenzasse la scelta, modificando il gusto dei piccoli consumatori.
Passi per gli hamburger, il pollo e le patate fritte, veri e propri simboli dell’impero McDonald’s. Ma i bambini hanno giudicato più buono il prodotto firmato perfino nel caso delle carote, un alimento che McDonald’s non vende e, soprattutto, non timbra con il suo brand.
Ciò dovrebbe dare un’idea del terribile potere seduttivo e mistificatorio dei messaggi pubblicitari rivolti ai bambini, vere e proprie vittime inconsapevoli e inermi di un sistema che ne manipola abilmente il gusto e la capacità di giudizio.