Niente paura!
Un incontro di gruppo sulle paure che rendono difficile la nostra vita è un’occasione per sperimentare insieme nuove strategie per diventare più audaci, un giorno alla volta.
Ed è un’opportunità di crescita, perché è quando affrontiamo le sfide più difficili che sviluppiamo coraggio e autostima.
Ne parliamo con Francesca Speciani, counselor, che insieme alla collega Anna Romanzi terrà un seminario dal titolo Ma di cosa hai paura? a Milano nel mese di novembre.
Perché un seminario sulla paura?
Innanzi tutto perché la paura è un’emozione primaria. Tutti la conosciamo, tutti sappiamo che ha una funzione vitale pel proteggerci dai pericoli e tutti ne abbiamo superate molte prima di arrivare a essere chi siamo oggi. Però non vorremmo mai provarla, ci piacerebbe essere sempre audaci e disinvolti. Spesso domina la nostra vita, ma quando è la paura a guidarci, abbiamo un raggio d’azione estremamente limitato.
L’obiettivo di questo lavoro è riaprire qualche spiraglio, fare esperienza di nuove possibilità di movimento in un mondo dove non possiamo tenere tutto sotto controllo.
Perché adesso?
Perché viviamo in tempi spaventosi. Da una parte aumentano le paure concrete, come quella di non arrivare a fine mese o di perdere il lavoro. Dall’altra quelle alimentate dalla cultura in cui siamo immersi, come il timore del rifiuto, del giudizio, di non essere all’altezza.
Quanto meno una paura è concreta, tanto più difficile risulta affrontarla. Così diventa una sensazione vaga, che teniamo sempre con noi (spesso con ripercussioni sul sistema immunitario), ma che cerchiamo di tenere a bada. Solo quando è forte, però, riesce a spingerci ad agire per contrastarla. Quanta energia resta intrappolata in una paura?
Perché la paura e non, per esempio, l’ansia?
L’ansia (un sintomo ogni giorno più diffuso) è uno dei canali preferenziali di espressione della paura. Gli attacchi d’ansia ci paralizzano, ma questa è solo una delle risposte fisiologiche alle situazioni di pericolo. Fuggire e combattere, che sono le altre, in quel caso sembrano opzioni quasi inaccessibili. La cosa interessante è che gli animali, una volta cessato l’allarme che li ha portati a paralizzarsi, fuggire o combattere, tornano immediatamente al loro stato naturale.
Gli esseri umani, invece, tendono a portarsi dietro la sensazione di pericolo, che finisce per condizionare molti aspetti dell’esistenza, trasferendosi a situazioni che la maggior parte di noi considera perfettamente sicure. Quando lavoravo in uno studio al quarto piano, per esempio, pensavo sempre che i miei clienti che salivano a piedi fossero persone molto attente alla linea. Solo nel tempo scoprivo che – pur senza soffrire di una vera e propria fobia – avevano un discreto timore dell’ascensore!
Ma come si sviluppa il coraggio quando siamo dominati dalla paura?
Per ritrovare il coraggio è inevitabile guardare in faccia la paura, scoprire che non è poi il drago che credevamo, e attraversarla. Poi continuare a osare, finché l’esperienza ci diventa familiare. È naturale che questo processo richieda un sostegno: anche per questo ci piace lavorare in gruppo, in un contesto favorevole per la crescita personale.
D’altra parte tutti possiamo cominciare a osare nella vita di tutti i giorni, scegliendo situazioni in cui, nonostante i nostri timori le ripercussioni sarebbero comunque minime: dire alla suocera che questa domenica non andremo a pranzo da lei, evitare una festa alla quale non abbiamo voglia di andare, chiedere lo scontrino in un negozio, rientrare a casa a un’ora diversa dal previsto, intervenire all’assemblea di condominio, andare in banca a mettere in discussione le condizioni del nostro conto corrente, non rispondere a una telefonata…
Sul rapporto tra paura e coraggio mi piace citare un episodio riportato da Marlo Morgan in uno dei romanzi che ha dedicato all’esperienza vissuta con gli Aborigeni dell’Outback australiano. In una tribù (cito a memoria), un gruppo di adolescenti si prepara a celebrare un rito di passaggio che contempla la camminata sui carboni ardenti. L’autrice chiede a un ragazzino: “Ma non hai paura?” – “Certo che ho paura” – “E allora perché lo fai?” – “Perché se non facesse paura che bisogno avrei del coraggio?”
Ma per chi ha paura, non è spaventoso esporsi davanti a un gruppo?
Come dicevo, il primo passo per superare la paura è guardarla in faccia. Esponendoci (o evitando di farlo, dentro un gruppo) possiamo sentire con grande chiarezza cosa ci spaventa e il nostro modo abituale di reagire.
Chi conduce, a questo punto, incoraggia i partecipanti a trovare soluzioni nuove per affrontare la situazione. E il gruppo diventa immediatamente una risorsa, perché unendo le forze si possono promuovere creativamente strategie del tutto nuove per affrontarle, basate sull’esperienza, sulle capacità e sulle idee di ciascuno.
Strategie che ognuno può sperimentare secondo il suo bisogno. D’altra parte, le paure sono spesso alimentate dalla solitudine. Insieme è molto più facile vincerle.