La corsa è donna?
Luce Irigaray, psicanalista francese, sostiene che parlare non è mai neutro. Da questa premessa nasce una domanda: se corsa è un sostantivo di genere femminile, e grandi sono le atlete, perché mai è così bassa la percentuale delle donne che corrono? Se si considera l’età, scarse sono le donne “over” che corrono. Correre in questa fase della vita non è facile, i ritmi di recupero sono lenti e a volte si unisce una campagna di disinformazione terroristica sul rischio di infortuni.
Numerosa è, invece, la presenza femminile ai corsi di aerobica . E’ solo un ideale estetico per cui si preferisce la “gym” alla prestazione sportiva o comunque è aumentata in ogni caso la consapevolezza dell’importanza del movimento?
Differenze strutturali e differenze culturali
Secondo le statistiche mediche sportive, le prestazioni femminili in atletica sono inferiori a quelle maschili. Le caratteristiche fisiche, antropometriche e ormonali della donna nell’atto di correre, fanno sì che ella produca meno energia muscolare, una maggiore mobilitazione di acidi grassi per la corsa di resistenza, maggiore flessibilità ed elasticità e minore velocità.
I fisiologi hanno però constatato che uomo e donna a livello di preparazione atletica hanno la stessa capacità di assorbimento di ossigeno e di sviluppo muscolare; quindi sembrerebbe che gli effetti dell’allenamento possano essere identici per entrambi i sessi.
Non solo le presunte differenze fisiologiche rendono difficile l’accesso a questo sport ma anche i doppi ruoli sostenuti dalle donne nella vita attuale creano non pochi disagi. Nelle recenti Olimpiadi di Torino le atlete, insieme al centro Pari Opportunità della regione Piemonte, hanno sottoscritto un documento sulle difficoltà di essere atlete e madri. La storia della corsa non è una storia femminile!
Il pensiero della differenza
E’ solo una differenza sociale e biologica a rendere demotivante la corsa per la donna ? Esiste un pensiero “ differente “per interpretare la corsa al femminile?”
La questione si gioca a livelli più profondi e investe la struttura stessa del soggetto donna: l’immaginario, il linguaggio, il sogno, la narrazione, la dimensione dell’inconscio.
Non è solo un problema di uguaglianza e di organizzazione domestica e sociale. Esiste un pensiero della differenza.
Questo pensiero non è una rivendicazione alle regole maschili; è invece una modalità di vivere e sentire la corsa in modo differente. La sfida con l´altro non si misura sui numeri, è gioco e rilancio, emozione, armonia e conflitto, “conflitto emozionale e cognitivo”.
Il pensiero della differenza prescinde dal sesso biologico.
Nella cultura occidentale esistono della dicotomie:
- maschile- femminile
- passivo- attivo
- sole- luna
ecc
La Brandotti, filosofa e studiosa di miti, scrive: “All’inizio è la differenza, la differenza non è riducibile alla dualità, non c’è da un lato uomo e donna, ciascuno ha differenti caratteristiche. All’inizio è il non uno a cui deve essere dato libero gioco“. Nella storia dei miti, in origine, maschile e femminile non erano in contrasto.
Ritornando alla corsa, non tutte le atlete e le podiste amatoriali corrono con rabbia e grinta verso l’avversario. Molti running si allenano alla fatica, alla resistenza, alla tecnica del gesto atletico senza lo stimolo di primeggiare: si può vivere la corsa, a ogni età, senza assumere nel linguaggio posizioni fallocentriche sia maschili o femminili.
La corsa non è una politica dell’io, ma è una politica del desiderio.
E’ partendo da un limite, da una mancanza che si accede a un desiderio, di vivere la corsa , una corsa né maschile né femminile, ma una corsa….. zen !!!
di Silvana Leali, psicologa e psicoterapeuta