Il bambino è nato con una “voglia”. Voglia di schifezze….
La credenza popolare vuole che a lasciare segni sulla pelle del bambino siano i desideri alimentari non soddisfatti dalla madre in gravidanza. “Voglie” si chiamano infatti quegli angiomi cutanei che chiazzano la pelle di una macchia di colore generalmente più scuro, o più arrossato, del tessuto circostante. Le più comuni sono le voglie di vino e di fragola.
Molto più ragionevole e meno stregonesca sembra l’ipotesi opposta: che cioè siano i desideri alimentari fin troppo soddisfatti durante il periodo della gravidanza e dell’allattamento a marchiare non già la pelle ma, per così dire, il palato del bambino, corrompendone e deformandone il gusto.
Questo soprattutto quando le voglie materne si concentrano su alimenti ipercalorici, ricchi di zuccheri, grassi e sali: insomma sulle porcherie da fast-food o da saccheggio notturno del frigorifero.
Per ora questa possibilità di trasmissione ereditaria della perversione del gusto è stata provata soltanto nel caso di mamma-ratta e dei suoi cuccioli. La ricerca in oggetto, infatti, è stata realizzata su cavie da laboratorio presso il Royal Veterinary College di Londra e pubblicata sull’edizione on-line del British Journal of Nutrition (SA Bayol et al, BJN 2007 August 15, published online).
Lo studio ha, se vogliamo, i suoi lati divertenti, anche perché per una volta non ha comportato il sacrificio di nessuno degli animali da laboratorio, ma soltanto la loro calcolata e perfino abbondante alimentazione.
Una popolazione di cavie femmine è stata suddivisa in due gruppi, il primo dei quali è stato nutrito durante il periodo della gravidanza e dell’allattamento con il normale mangime per ratti, mentre al secondo gruppo veniva proposto, in aggiunta al mangime, un concentrato di quegli alimenti ipercalorici che negli Stati Uniti (dove di queste prelibatezze se ne intendono) vengono definiti junk food, cioè “porcherie”.
Giunti al momento fatidico dello svezzamento (che nei ratti non si fa aspettare poi troppo), i cuccioli di entrambi i gruppi sono stati immediatamente avviati a questa forma inedita di alimentazione: metà mangime e metà porcherie.
Ebbene, è risultato subito evidente che i figli di madri “schifezzofaghe” avevano contratto una vera e propria passione per le schifezze: se ne nutrivano compulsivamente, senza controllo, mentre si dimostravano molto morigerati nei giorni in cui veniva loro offerto il solo mangime ordinario.
Al contrario i cuccioli generati dall’altro gruppo di ratte (quelle mantenute a dieta da ratti) non mostravano alcuna tendenza a sovra-alimentarsi di porcherie. Le mangiavano – è da presumersi – con un certo disgusto, quando avevano fame.
Generalizzare è sempre scorretto, dal punto di vista scientifico. E tanto più scorretto sarebbe estendere l’esperienza palatale dei cuccioli di cavia ai palati dei cuccioli umani. Aspettiamo conferme.
Però, nel frattempo, pensiamoci su. L’effetto di assuefazione e dipendenza è molto simile a quello delle droghe.