Creare un rapporto col paziente? Vietato. Il medico si limiti ad ascoltare e prescrivere
Sorpresa e tristezza per un lavoro scientifico americano, pubblicato nei giorni scorsi, che sembra provenire da una cultura priva di umanità. Invece il lavoro è stato svolto in una delle più note università americane, a Rochester, e le sue conclusioni sono state pubblicate sulla prestigiosa rivista internazionale Archives of Internal Medicine.
In pratica un gruppo di volontari dell’Università si è sottoposto a una serie di visite mediche, registrando in modo ingannevole i colloqui, che sono stati in seguito analizzati dal team di ricercatori del Dipartimento di Medicina Familiare.
Secondo i ricercatori appunto,nel corso della visita il medico si mette talvolta a parlare di sè e dei suoi fatti personali, e anche se la comunicazione è di breve durata (negli esempi riportati dal lavoro originale si tratta a volte di semplici considerazioni come “anche a me è successa una cosa simile”, oppure “anche io mi sono messo a correre per dimagrire qualche chilo..”) la sua presenza è stata giudicata disturbante e deviante dall’unico obiettivo che dovrebbe avere la visita. Ascoltare e dare soluzioni, che ovviamente, se non possono essere di tipo verbale o psicologico, non possono essere altro che di tipo farmacologico.
Al di là dell’esiguo numero di visite valutate (in tutto 113) e dell’ancor più esiguo numero di comunicazioni personali, avvenute solo in 38 visite (cioè nel 34% dei casi), va ricordato che la stessa relazione era alterata fin dall’inizio dalla presenza di un falso paziente, il cui scopo non era quello di ottenere delle soluzioni ad un problema, ma di ingannare il medico per sottoporlo ad analisi.
Ma restano da discutere comunque le conclusioni, che portano gli autori dell’articolo (McDaniel SH et al, Arch Intern Med 2007 Jun 25;167(12):1321-6) a chiedere ai medici di non esprimere mai nulla del proprio vissuto personale, limitandosi nella visita alla richiesta del paziente e alla sua soluzione (ovviamente farmacologica).
Nel momento in cui altre ricerche a livello mondiale stanno dando valore all’effetto placebo, e stanno cercando di superare l’eccesso di tecnicismo legato alla professione medica ci sembra che articoli di questo tenore non vadano a creare informazione, ma a cercare di mantenere l’operato sanitario all’interno di canali che non possano fare a meno del farmaco e che evitino qualsiasi innovazione in settori che non possano essere pesati, misurati, valutati.
Per chi è abituato a lavorare con le parole oltre che con le mani e la conoscenza medica, e che è stato abituato da sempre a tenere in seria considerazione la risposta emozionale dei propri pazienti, articoli come questo generano tristezza sul futuro della medicina, ma stimolano comunque a proseguire sulla strada di una medicina umana, che è stata da sempre il fondamento della guarigione.
Dott. Attilio Speciani, allergologo e immunologo clinico