Cacciatrice di miraggi: una mostra di Margherita Lazzati
Carpe diem, cogli l’attimo. Il celebre invito di Orazio – sempre contemporaneo, malgrado sia antico di oltre duemila anni – sembra attagliarsi perfettamente a chi comunichi attraverso l’immagine fotografica, sintesi per eccellenza dell’attimo colto per sempre. Come in ogni cosa, tuttavia, c’è modo e modo di agire; in questo caso, c’è un modo preciso di scegliere l’attimo da cogliere attraverso una macchina fotografica. Un modo che tiene conto dei “regali del sole”.
Li chiama così, Margherita Lazzati, quei momenti in cui il sole tocca le cose del mondo con una luce unica, rendendole a loro volta uniche. E lei, pronta, impugna la sua piccola macchina digitale per scattare foto sorprendenti, che a vederle sembrano poter essere uscite solo da uno strumento professionale. Quelle foto saranno in mostra a Milano dal 22 marzo alla Fondazione Ambrosianeum, con il titolo “Cacciatrice di Miraggi”. “Il miraggio è una visione unica, è ciò che gli altri non vedono. Così cerco di fotografare proprio ciò ciò che solo io riesco a vedere, per poi regalarlo agli altri. Con queste foto ho cercato di farlo in modo particolare, cioè trasformandole in cartoline”. Per poi, coerentemente, inviarle a oltre cento persone a lei care, chiedendo loro una risposta. “Si tratta di persone a me vicine per affetti, amicizie o perché li considero dei maestri – prosegue Lazzati –: i miei nipoti Giacomo e Anna, o Claudio Abbado, Ennio Morricone, o Attilio Speciani. A loro, sono centodiciotto, le ho inviate chiedendo una risposta per questo mio miraggio, visto e a loro stessi dedicato. Tutti, chi con una parola, chi con un pensiero più articolato, chi addirittura con un file musicale, ed è il caso di Abbado, mi hanno restituito autenticità. Ho sentito di aver toccato delle corde intime: ognuno di loro mi ha dato l’idea di aver vissuto la cartolina come un momento per poter raccontare qualcosa di se stessi”.
Il file musicale di Claudio Abbado è l’overture del Lohengrin di Richard Wagner, che farà da colonna sonora alla mostra, nella quale saranno esposte 25 delle 118 cartoline scattate da Margherita (tutte, invece, saranno presenti nel catalogo in forma, ovviamente, di cartolina). “Quel che vorrei dalla mostra, e che ho avuto già nelle risposte di cui ho detto, è la possibilità di spalancare negli altri un desiderio di creatività. E’ come se facessi un test di Rorschach: guarda, e dimmi cosa vedi. Ma, questo è importante, senza diagnosi e in una totale apertura di considerazioni di ogni tipo”.
I visitatori potranno quindi scrivere le loro impressioni su fogli che troveranno all’Ambrosianeum. E da lì, chissà cosa potrà nascere. “Già questa mostra è figlia di una precedente, La mia storia con Samuel Beckett a Portobello – racconta l’autrice –, fatta di una serie di scatti nel tempo, dal 2007 al 2010, ad un murales con il suo ritratto su un muro del quartiere londinese. E’ lì che è nata la voglia di donare ad altri ciò che catturo, ed è stato uno dei miei figli a suggerirmela: passeggiavamo proprio per Londra, io mi fermavo in continuazione e lui è sbottato: non è possibile parlare con una persona che continua a vedere ciò che altri non vedono”.
Non è implausibile che questo sguardo “altro” nasca da un disagio con cui Margherita fa i conti da sempre, e che nei primi anni di vita ha sentito particolarmente. “La dislessia mi ha procurato una fatica enorme a scuola, soprattutto con la lettura. Il mio era un apprendimento visivo: amavo la geografia, per esempio, e non la storia. Amavo scrivere per la bellezza del segno sulla pagina. E anche con le foto, il mio insegnante all’Accademia di Brera mi ha incoraggiata a non studiare il manuale, ma a utilizzare subito la macchina”. E’ nata così un’artista che non usa fotoritocco, limitandosi al gesto basico di guardare e scattare, catturando immagini davvero uniche. Puri miraggi, “che ora dedico ai miei figli – conclude –, con l’augurio di saper alzare lo sguardo e di trovare la gioia in qualcosa che non sia puramente materiale”.