L’ansia di fare la spesa
Gli italiani sono preda di ansia nel fare la spesa. Temono che i cibi nascondano sgradite “sorprese”: antibiotici, Ogm, agenti chimici, antiparassitari e, soprattutto, pesticidi.
A sostegno di una ipotesi di questo tipo è maturata una ricerca di Legambiente fatta su frutta e verdura.
Lo studio dell’associazione ambientalista ha condotto a risultati non inaspettati, ma comunque rilevanti: un frutto su quattro e una verdura su sei contengono pesticidi.
Su un totale di 3.572 campioni di verdura analizzati 135 sono risultati “regolari, ma con più di un residuo”. Su 1.664 campioni di derivati (olio d’oliva, vino, passate di pomodoro) 135 sono stati scoperti con un livello di pesticidi riconosciuto come elevato. Su 3.741 frutti analizzati ad avere più di un residuo visibile sono stati ben 140.
Queste quantità, precisa il relatore dell’inchiesta, non sono da ritenersi tali da parlare di frutta e verdura avvelenata. Dice infatti: “Parlare di veleni è eccessivo per il semplice fatto che è la dose a fare il veleno”.
Questa considerazione è da ritenersi legittima fino al punto in cui le “tracce” di pesticidi negli alimenti non superino le soglie indicate dalla legge. Allora e solo allora si potrebbe inferire un vero e proprio avvelenamento dei prodotti. E il conseguente allarme. Si tratta di considerazioni del tutto pertinenti, legittime e prudenti.
Si prenda, però, il caso dell’olio d’oliva: sul totale dei campioni analizzati almeno il 16% risulta “non privo di residui”, con un picco del 70% in Campania. Forse non è un vero avvelenamento, ma per lo meno un manifesto eccesso di sostanze proibite.
I pesticidi tipo il malathion sono tossici se ingeriti in quantità troppo elevate; sono veri e propri agenti chimici disinfestanti e come tali dannosi per la salute dell’uomo.
Il pesticida è resistente ai lavaggi, intacca il frutto e la verdura e, a quanto pare, lo si trova anche nel prodotto finito: per restare all’olio d’oliva, nel 2008, 5 campioni analizzati (3 in Puglia e 2 in Lombardia) sono risultati del tutto fuorilegge. Un dato piccolo se rapportato alla scala nazionale, ma tremendamente grande nella gravità, immaginandosi che tali prodotti sarebbero potuti finire sulla nostra tavola.
In Piemonte su 29 mele analizzate 9 rivelavano la presenza di un residuo e 6 di più di uno. Il problema, in altre parole, esiste ed è affrontato in maniera inadeguata dalla legislazione sui “limiti di legge” e dai controlli sui prodotti.
Per il discorso dei limiti di legge il problema, sostiene la segreteria di Legambiente, è che la legislazione è vecchia di trent’anni. Ricordandoci il gioco del controllore e del controllato, il gatto col topo della chimica (che è alla base anche del problema del doping nello sport), una legge “vecchia” risulta presto inadeguata.
La nascita di pesticidi sempre più “raffinati” (e quindi meno rintracciabili) dovrebbe prevedere un altrettanto veloce aggiornamento delle norme legali a tutela dei consumatori e della purezza del “prodotto finito”.
Legambiente sostiene anche che: “La legislazione non prevede l’effetto somma: se nello stesso prodotto si trovano tracce di più pesticidi bisognerebbe tener conto della sinergia negativa che questa convivenza forzata produce, non limitarsi a conteggiare separatamente i singoli pesticidi”.
Queste problematiche pongono l’accento su una revisione della disciplina legislativa in materia, che, oltre che auspicabile, è anche urgente.
Nel frattempo, comprando giorno per giorno, gli italiani si imbattono in uno dei mali più diffusi (e peggiori) del nostro secolo disgraziato, l’ansia. Fare la spesa ci preoccupa. Più o meno consciamente siamo di fatto al corrente della situazione degli alimenti che compriamo al supermercato ed abbiamo paura. Paura di non comprare la mela o l’insalata con l’antibiotico, l’antiparassitario, il pesticida, l’OGM di turno; una voglia insaziabile di protezione di noi stessi, che, a quanto pare, sembra più che giustificata.
Nove italiani su dieci considerano il sistema di produzione del cibo “molto rischioso”. Tre su quattro manifestano ansia pensando a quello che devono comprare. Pochi sanno ricondurre le proprie paure sul cibo a qualcosa di realmente controllabile e spiegabile a parole.
Valga comunque la regola che è meglio mangiare frutta e verdura con una ridotta quantità di sostanze contaminanti che non mangiarne affatto, e soprattutto che la lotta per il biologico e per il cibo di qualità non è comunque tempo perso.
L’informazione alimentare lascia peraltro una scia molto labile nella mente del cittadino, passa veloce e se ne va . Non riesce a indurre una giustificazione alla paura. Che sia una sorta di ignoranza razionale (citando il filosofo)? Un oscuramento “voluto” delle proprie capacità di recepire le notizie dall’esterno per preservare se stessi e non essere vittime di continue angosce?
Può essere: tutti necessitiamo di intimi sistemi di protezione dalla realtà, e il non ascoltare sembra essere uno dei più efficaci, ma solo nel breve periodo.