Crisi economica e voglia di maternità
DOMANDA
Gentilissima Francesca, le scrivo per sottoporle un quesito che da molto tempo occupa la mia mente ma che solo da qualche giorno sono riuscita a focalizzare. In sintesi, complice probabilmente la crisi economica, mi rendo conto di aver perso ogni entusiasmo, ogni stimolo per riempire la vita. Consideri che sono tra le poche fortunate con un lavoro stabile, anche se mi costringe a un pendolarismo settimanale tra città molto lontane, e non offre opportunità di crescita. Su una trentenne non viene fatto alcun investimento in quanto “a rischio maternità”. Dal punto di vista lavorativo quindi… sono “congelata”. Sul fronte famiglia, sebbene abbia una casa e una relazione decennale, non avverto il desiderio di costruirne una perché avvilita dal contesto economico/sociale. Penso che se facessi un figlio oggi lo condannerei a vivere in un mondo di precariato/ingiustizia sociale/mancanza di prospettive… e allora mi passa del tutto la già scarsa propensione alla maternità. Se poi guardo una trasmissione di attualità mi viene un’ansia terribile. Mi sento “bloccata”, forse depressa, e non trovo uno stimolo per andare avanti, io che già sono pessimista di mio… Come fare per uscire da questa situazione?Grazie, Erika
RISPOSTA
Cara Erika,
per stabilire se è depressa occorrerebbe una diagnosi che non appartiene alle mie competenze. Ma un percorso di counseling (se si tratta di un pessimismo che ostacola la sua quotidianità) o di psicoterapia (in caso di una consistente depressione) potrebbe aiutarla a tornare a vedere il mondo che la circonda come un ambiente ricco di sfide da affrontare invece che di porte chiuse a doppia mandata.
Quando ci sentiamo vittime impotenti di una situazione, spesso investiamo gran parte della nostra energia in lamentele, o in preoccupazioni paralizzanti. Cominciando invece a intervenire sul mondo che ci circonda, anche con rabbia se serve, possiamo rimettere in moto l’energia necessaria per disperdere la nebbia che sembra colorare il mondo intero di un grigio uniforme.
Provi a mettere in atto qualche cambiamento, per esempio di tipo alimentare o fisico, oppure a mettersi in gioco in situazioni poco impegnative, per esempio dicendo “no” a qualche piccola vessazione, o permettendosi di arrabbiarsi con chi le è vicino invece di pensare che “tanto non serve”. Ma se non riesce da sola, cerchi un sostegno professionale. A maggior ragione se prima o poi pensa di voler allargare la sua famiglia, perché la nascita di un figlio sconvolge sempre la vita. Non solo in tempo di crisi.
Sono d’accordo con lei che in un momento come quello che stiamo vivendo è ben difficile pensare ad allargare la famiglia, estendere le nostre responsabilità e perfino immaginare il tipo di futuro che potremmo regalare a un figlio. D’altra parte, non esiste mai un momento giusto per fare un bambino, perché diventare genitori implica sempre, accanto alle soddisfazioni, agli impegni e alle paure derivanti dal nuovo ruolo, una radicale trasformazione di sé. Chi mai lo farebbe, a freddo?
Cercare di prepararci, prima di intraprendere questa strada, è una scelta a nostra disposizione, ma senza un po’ di irresponsabilità e di fiducia nel futuro non affronteremmo mai un rischio simile. Che infatti molte donne rimandano a un momento più roseo della loro vita, ma a quel punto assistite dalla tecnologia invece che dalla natura. Un’opzione certamente “benedetta” per chi non può avere figli in modo naturale, ma forse anche una spinta, per molte altre, a rimandare a oltranza (per incontrare poi difficoltà di tipo diverso).
Provi per un momento a immaginarsi di essere in una situazione diametralmente opposta. Invece che a chiedersi se cercare un bambino o no, immagini di dover prendere una decisione su una gravidanza inattesa. Come cambierebbero i suoi dubbi? Proprio di recente parlavo con una giovane amica, e insieme abbiamo elaborato la tesi dei “requisiti minimi indispensabili”, in aperto contrasto con quella del “momento migliore”. Ovvero i requisiti senza i quali, probabilmente, una donna caricherebbe un eccesso di responsabilità sulle spalle del nascituro: una relazione almeno vagamente stabile, una casa, un lavoro, uno stato di salute psicofisica accettabile. Magari i suoi requisiti sono diversi, ma in un caso del genere è sicura che la crisi economica inciderebbe nello stesso modo sulla sua scelta?
Detto questo, se non ha desiderio di un figlio, niente di male. Benché quello di procreare sia un forte bisogno biologico, non penso che sia né un obbligo né l’unica strada per sentirsi realizzati. Ma se questo desiderio viene spento dall’esterno, sono convinta che valga la pena prima di riappropriarcene, e solo poi di confrontarlo con la realtà che ci circonda. Non affiderei mai alla crisi mondiale la responsabilità (e il potere) di decidere di uno dei più profondi ed evolutivi tra i desideri umani, quello di proiettarci nel futuro, e di trasformarlo. Se i nostri padri ci hanno consegnato un mondo malato, e solo ora stiamo comprendendo quanto, chi potrà rimetterlo in sesto, se non i nostri discendenti?
Un’ultima nota: le trasmissioni di attualità non favoriscono una visione equilibrata del futuro, né la vera passione politica, che si nutre piuttosto del confronto con persone in carne e ossa. Ma portano via molte ore di sonno. Abbracciare un bambino (anche non suo) è uno dei più potenti antidoti all’ansia da tv.