Identificare il prediabete permette di prevenire Alzheimer e declino cognitivo
Un gruppo di ricercatori statunitensi della Johns Hopkins University, ha pubblicato nel 2023 su Diabetologia i risultati di una ricerca epidemiologica sulla relazione tra prediabete e sviluppo di demenza, di Alzheimer e di declino cognitivo.
I risultati sono di notevole importanza perché spiegano che il rischio di Alzheimer è molto elevato proprio quando una persona non pensa di avere il diabete.
Le persone che non sanno di andare verso il diabete con meno di 60 anni hanno un rischio del 200% più elevato di una persona normale. Tra i 60 e i 70 anni del 73% in più e tra i 70 e gli 80 del 23% in più.
Significa che intercettare il prediabete, proprio quando meno te lo aspetti, tra i 40 e i 50 anni, ad esempio, verificando i valori di glicazione e i picchi glicemici, rappresenta un’arma potentissima per migliorare la propria salute e vivere più a lungo, ma soprattutto mantenendo una buona memoria.
Per tutti è bene ricordare che dal 2019 è definito con chiarezza che i classici esami con cui si può seguire un diabete già diagnosticato, glicemia a digiuno e emoglobina glicata, non sono idonei ad identificare il prediabete.
Il declino cognitivo dipende da molteplici fattori ma uno dei più importanti è sicuramente la presenza di livelli elevati di glicazione, cioè di eccesso di zucchero, fruttosio, alcol, dolcificanti e polioli che facilitano la creazione di grovigli neuronali e il deposito di beta-amiloide.
Questi livelli di glicazione sono oggi misurabili e soprattutto si può seguirne l’evoluzione per capire se il controllo nutrizionale personalizzato è efficace nella loro regolazione.
Sulle pagine di Eurosalus abbiamo già discusso a lungo degli effetti degli zuccheri nel declino cognitivo con l’articolo “Alzheimer, zucchero e AGEs. Quando si perde la memoria per i nomi” e l’articolo “Glicazione e neurodegenerazione. Misurare gli zuccheri per controllare l’Alzheimer”.
Una corretta impostazione nutrizionale può essere di fortissimo impatto nella prevenzione del declino cognitivo.
La conferma dell’importanza dell’alimentazione e della glicazione nella cura e nella prevenzione delle malattie neurodegenerative è arrivata soprattutto negli ultimi anni, anche se già da molti anni, un numero elevato di ricercatori definiva la malattia di Alzheimer “Diabete di tipo 3”, evidenziando cioè il ruolo importantissimo degli zuccheri (di tutti gli zuccheri) nella sua comparsa e nella sua evoluzione.
Nel 2020 infatti, una ricerca pubblicata sull’International Journal of Molecular Sciences ha precisato che nella malattia di Alzheimer, la formazione di sostanza amiloidea (beta-amiloide) e la sua rimozione dal tessuto cerebrale sono entrambi processi correlati con la resistenza insulinica e che la alterata regolazione degli zuccheri porta sia ad una maggiore produzione di beta amiloide sia ad una riduzione della sua rimozione dal cervello.
L’ultimo pezzettino del puzzle, però, è arrivato con la pubblicazione nel marzo 2022 sul Journal of Alzheimer’s Disease di una ricerca effettuata da studiosi di differenti università statunitensi, che ha dimostrato che la proteina Tau 181 (una di quelle attivate e fosforilate dal metilgliossale) è strettamente correlata alla deposizione di sostanza amiloide nel cervello, causa effettiva del declino cognitivo e della alterazione dei processi mnemonici.
Controllare quindi lo sviluppo di metilgliossale attraverso l’alimentazione contribuisce con forza alla prevenzione del declino cognitivo. Meno metilgliossale significa meno Tau 181, meno beta-amiloide, meno grovigli neuroanli e meno Alzheimer.