Glicazione e neurodegenerazione. Misurare gli zuccheri per controllare l’Alzheimer
Fin dal 2007 si era sospettata una relazione diretta tra l’assunzione di latticini e lo sviluppo di malattia di Parkinson, e l’articolo pubblicato sull’American Journal of Epidemiology ha dovuto aspettare oltre 10 anni per venire confutato. Il problema vero, infatti, non è certo il latte, ma l’indice glicemico dei latticini introdotti con la dieta, come l’articolo pubblicato su Neurology nel 2017 ha evidentemente descritto.
Gli autori, tutti ricercatori della Università di Harvard, hanno rilevato che mentre l’assunzione complessiva di latticini non era associata allo sviluppo di malattia di Parkinson, l’assunzione di latticini a basso contenuto di grassi, e quindi ad alto indice glicemico, era invece significativamente correlata con la malattia. Il problema quindi non è il latte, come si riteneva nel 2007, ma l’elevato indice glicemico dei cibi utilizzati e la possibile glicazione indotta da questi.
Per capire questo tema è necessario ricordare che uno yogurt a cui sia stato tolto il grasso ha un contenuto di zuccheri per 100 g di sostanza molto simile a quello di un soft drink, cioè all’incirca 11-12 g di zucchero, il cui assorbimento non è più rallentato dalla presenza di grassi. In questi casi la glicazione (e l’ingrassamento) sono molto facilitati.
Nel 2020, una ricerca ubblicata sull’International Journal of Molecular Sciences ha invece precisato che nella malattia di Alzheimer, la formazione di sostanza amiloidea (Beta amiloide) e la sua rimozione dal tessuto cerebrale sono entrambi processi correlati con la resistenza insulinica e che la alterata regolazione degli zuccheri porta sia ad una maggiore produzione di beta amiloide sia ad una riduzione della sua rimozione dal cervello. Per questo molti autori, a ragione, parlano dell’Alzheimer come del diabete di tipo 3.
Questo va a confermare lo studio del 2015, pubblicato sull’European Journal of Neurology ed effettuato da ricercatori giapponesi del Dipartimento di neurologia della Università di Okayama, per i quali il declino cognitivo e affettivo dei pazienti diabetici era legato soprattutto al controllo degli zuccheri e alla resistenza insulinica e non certo ai valori di glicemia a digiuno. In questo senso abbiamo già ricordato su queste pagine che i problemi legati alla glicazione non possono essere identificati dai valori di glicemia a digiuno e di emoglobina glicata ma dai valori di albumina glicata e di metilgliossale (evidenziabili dai test Gek Lab).
Sempre più quindi, appare chiara la relazione tra i processi neurodegenerativi, il declino cognitivo e gli effetti della glicazione. L’eccessivo uso individuale di zuccheri, anche di quelli nascosti, può determinare un incremento della glicazione e facilitare la comparsa e l’aggravamento di malattie come Alzheimer, Parkinson ed altri tipi di demenza.
Le conoscenze su questo ambito sono state stimolate anche dalla attuale pandemia da Covid19. I ricercatori sono stati obbligati ad indagare come il virus entrasse in contatto con il tessuto nervoso e quali fossero le sue possibili conseguenze. Si è scoperto che l’ingresso nelle cellule nervose (neuroinvasione) e la lesione distruttiva di molti neuroni (neurodegenerazione) erano legati anche alla attivazione dei processi di glicazione cioè alla presenza di sostanze zuccherine che rendono possibile l’azione del virus.
È bene ricordarsi che il nervo olfattivo è posto a solo qualche millimetro di distanza dai lobi frontali del cervello e che purtroppo tra i possibili effetti del post Covid (che su Eurosalus abbiamo descritto già nel luglio 2020) c’è sicuramente da aspettarsi un incremento dei casi di Alzheimer e di Parkinson, legati alla neurodegenerazione. Sono inoltre stati meglio compresi meccanismi prima non chiari, addirittura evidenziando che, al di là della perdita del gusto e dell’olfatto, anche il delirio e la confusione mentale (aspetti correlati al sistema nervoso centrale) erano possibili sintomi di esordio del COVID-19.
La neuroimmunologia ha chiarito che una volta attivato il processo infiammatorio dovuto anche alla glicazione, questo può iniziare a determinare la formazione di “grovigli neuronali” corresponsabili di Alzheimer e Parkinson, condizioni da controllare in futuro sia per chiunque sia passato in mezzo al Covid sia per chi inizi a perdere la memoria, cominciando magari dai nomi.
Una volta capito che lo zucchero gratifica, ma fa dimenticare un po’ troppo, diventa importante rilevare quanto siano importanti per il tessuto nervoso le sostanze glicosilate (descritte in inglese come “AGEs”, iniziali di Advanced Glycation End-products) che ne regolano la crescita e influenzano negativamente la plasticità neuronale, cioè anche la capacità di trovare circuiti collaterali cerebrali quando alcuni non sono più efficienti e validi.
Già nel 2014, uno studio tedesco pubblicato su PLoS One ha documentato appunto che la produzione di queste sostanze glicosilate, la cui presenza è in parte fisiologica, ma cresce in proporzione al glucosio presente nell’organismo, interferisce pesantemente con lo sviluppo e con la crescita neuronale, ma soprattutto con la sua plasticità, cioè con la capacità di adattamento dei neuroni al danno subito (Bennmann D et al, PLoS One. 2014 Nov 11;9(11):e112115. doi: 10.1371/journal.pone.0112115. eCollection 2014).
E nel 2013 una ricerca effettuata da un gruppo statunitense e svedese e pubblicata nel mese di agosto sul New England Journal of Medicine ha confermato una relazione stretta tra i valori di glicemia, anche solo mossi, e lo sviluppo di demenza (Crane PK et al, N Engl J Med. 2013 Aug 8;369(6):540-8. doi: 10.1056/NEJMoa1215740). In una popolazione di oltre 2.000 persone (con età media di 76 anni) sono stati messi in relazione i valori di glicemia e di emoglobina glicata dei precedenti 5 anni, con il reale sviluppo di demenza e Alzheimer.
Le sostanze glicosilate e glicate agiscono come veleni cellulari, tanto che alcuni le chiamano glicotossine e la progressione della ricerca ha evidenziato con certezza il loro ruolo nel processo di degenerazione neuronale.
Il primo strumento a disposizione per evitare questi aspetti è il controllo dei livelli infiammatori dovuti a zuccheri e alimenti (il Test PerMè e il Glyco Test possono aiutare in questo) per evitare o almeno ridurre l’attivazione a cascata dei processi infiammatori e degenerativi favoriti dalla interazione tra glicazione e attivazione delle citochine (BAFF, PAF, TNF-alfa, Interleuchina 6) e glicotossine come la HMGB1.
L’eccesso di uno zucchero specifico può determinare effetti di profonda alterazione della risposta metabolica. È molto interessante notare che una volta che si sia alterato il metabolismo, anche altri segnali infiammatori possono attivare lo stesso tipo di reazione, anche in assenza dello zucchero stesso. Le persone, dopo l’attivazione della glicazione, sono cioè predisposte a ripetere le stesse manifestazioni cliniche anche per uno stimolo diverso, come quello dovuto a una infiammazione. Questo è uno dei motivi per cui nel centro SMA in cui lavoro, tutto lo staff medico e nutrizionale personalizza comunque la nutrizione dei nostri pazienti in base ai livelli infiammatori alimentari e a quelli di glicazione.
È grazie alla rieducazione della sensibilità insulinica, ottenibile attraverso l’attività fisica, il controllo dell’infiammazione, l’utilizzo di integratori con effetti sulla regolazione zuccherina (Zerotox Inositox e Glucontrol base tra i preferiti) e una dieta adeguata, che la memoria riprende vita e i meccanismi difensivi dell’organismo, riattivati, potranno orientare la persona al recupero del benessere e della salute.
Per dimostrare, ancora una volta, che tutto è legato e che a volte con poco si può ottenere molto.