Depressione e ansia. Prima dei farmaci reimposta la tua alimentazione…
Nel 2023 Medscape ha pubblicto il lavoro di revisione di due ricercatori (uno statunitense e uno australiano) che ha riproposto le relazioni più note e conosciute tra disturbi psichici e alimentazione.
L’uso di acidi grassi idrogenati (fortemente presenti nella popolazione statunitense) caratterizza la differenza con una popolazione come quella spagnola che ha livelli di depressione nettamente inferiore agli USA.
Questo è dovuto sia ai grassi polinsaturi, che si trovano ad esempio nei semi oleosi e nel pesce, sia ai monoinsaturi presenti nell’olio di oliva, nell’avocado e ancora nei semi oleosi.
Uno studio svedese ha evidenziato che i flavonoidi e i polifenoli presenti in pochi grammi di cioccolato fondente, usato quotidianamente o quasi, agiscono sulla circolazione encefalica riducendo il rischio di ictus e soprattutto migliorando il livello dell’umore in modo significativo e misurabile.
Una ricerca australiana pubblicata su PLoS One ha documentato che anche solo un intervento dietetico di breve durata (tre settimane) può cambiare in modo significativo il livello dei sintomi depressivi anche nei giovani adulti.
Il maggiore utilizzo di prodotti super raffinati (che arrivano fino al 76% della alimentazione usuale) è proporzionale all’aumento di ansia e depressione.
Un altro gruppo di ricercatori ha analizzato invece nella popolazione generale l’effetto di attivazione della depressione dovuto al consumo di alimenti ultra processati o ultra raffinati (UPF) pubblicando nel giugno 2022 su Nutrients i risultati del loro studio.
Alzheimer, declino cognitivo e Metilgliossale. I danni da glicazione che si possono prevenire
I risultati della loro meta-analisi hanno evidenziato che questa relazione (ricordiamo che i cibi super raffinati sono spessissimo dolcificati) è significativa anche per la sola ansia o per la sola depressione.
Questo non significa che non si deve assumere zucchero (o alcol o frutta o miele o dolci della nonna), ma che gli effetti individuali vanno misurati.
La depressione e l’ansia sono diffusissime e a fronte di questo tipo di episodi diventa fondamentale non fermarsi alla sola analisi psichica ma affrontare anche la condizione metabolica biochimica spesso dovuta ad un eccesso di carboidrati o di zuccheri, e questi aspetti riguardano anche il declino cognitivo e l’Alzheimer.
La pubblicazione, nel marzo 2022 sul Journal of Alzheimer Disease, di una ricerca effettuata da un gruppo di ricercatori di differenti Università statunitensi, ha dimostrato che la proteina Tau 181 (una di quelle attivate e fosforilate proprio dal metilgliossale) è strettamente correlata alla deposizione di sostanza amiloide nel cervello, causa effettiva del declino cognitivo e della alterazione dei processi mnemonici.
Riassumendo, quindi, chi mangia un eccesso individuale di zuccheri (tra cui vanno compresi anche quelli nascosti e invisibili) e aumenta la quantità di metilgliossale circolante nel proprio organismo, ha prodotto in realtà una delle sostanze più ossidanti esistenti nell’uomo, che a sua volta attiva la proteina Tau 181 che è un indice precoce della successiva deposizione di sostanza amiloide.
La presenza di metilgliossale (misurabile oggi attraverso il test PerMè di GEK Lab o il Glyco Test) è di fatto una sorta di segnale preliminare di un successivo deposito di amiloide e di sviluppo di Alzheimer.
Significa che le ipotesi statistiche ed epidemiologiche formulate nel recente passato, sono oggi completamente confermate. Si è capita finalmente non solo la relazione statistica tra zuccheri e demenza ma anche la modalità specifica con cui si arriva alla deposizione di amiloide e all’Alzheimer, facendo quindi passi giganteschi verso la possibile prevenzione di questo tipo di malattie..
Conoscere il proprio livello di metilgliossale e capire in anticipo se il proprio organismo ha elevati livelli di glicazione, consente a ogni persona di attivare in tempo una giusta prevenzione della evoluzione verso la degenerazione neuronale.
Come abbiamo spesso segnalato, gli zuccheri non vanno mai “eliminati” ma si deve comprendere, invece, quale sia il livello individuale di glicazione per scegliere un programma nutrizionale personalizzato che moduli la quantità giornaliera di zucchero, di alcol e di frutta per rientrare in una condizione di normalità ed evitare la degenerazione cerebrale.
Misurare è meglio che supporre, e conoscere la propria glicazione consente di intervenire in modo efficace e tempestivo nella prevenzione della demenza e supportarne la terapia.
Oggi, quando visito i miei pazienti e domando come sono mancati i genitori o i nonni, in 1 caso su 3 mi sento dire che una forma di demenza senile o di neurodegenerazione ha colpito il parente negli ultimi 8-10 anni di vita…
Senza rinunciare agli zuccheri, prevenire per se stessi questa evenienza è nelle potenzialità di tutti.