Alzheimer, declino cognitivo e Metilgliossale. I danni da glicazione che si possono prevenire
È come se si fosse sistemato l’ultimo pezzettino di un puzzle.
Su queste pagine abbiamo già descritto e discusso l’importanza della glicazione, cioè del deposito di sostanze glicanti derivate da un eccesso individuale di zucchero, fruttosio, alcol, polioli, dolcificanti o carboidrati raffinati, nella induzione e nel mantenimento della malattia di Alzheimer, nel declino cognitivo e nella demenza senile e in particolare, proprio il Metilgliossale viene considerato uno dei maggiori responsabili dell’Alzheimer.
Già nel 2012, su Neuromolecular Medicine, un gruppo di ricercatori cinesi aveva identificato proprio il metilgliossale (MGO) come una delle sostanze in grado di attivare la fosforilazione della proteina Tau, una delle proteine sicuramente coinvolte nei meccanismi della memoria.
Poi, nel 2014, un gruppo di ricercatori dell’Università di Bologna ha descritto le azioni del metilgliossale nell’Alzheimer, evidenziando conferme statistiche di rilievo della sua azione e pubblicando i risultati della ricerca su Biomed Reserarch International.
L’ultimo pezzettino del puzzle, però, è arrivato con la pubblicazione, nel marzo 2022 sul Journal of Alzheimer Disease, di una ricerca effettuata da un gruppo di ricercatori di differenti Università statunitensi, che ha dimostrato che la proteina Tau 181 (una di quelle attivate e fosforilate dal metilgliossale) è strettamente correlata alla deposizione di sostanza amiloide nel cervello, causa effettiva del declino cognitivo e della alterazione dei processi mnemonici.
Riassumendo, quindi, chi mangia un eccesso individuale di zuccheri (tra cui vanno compresi anche quelli nascosti e invisibili) e aumenta la quantità di metilgliossale circolante nel proprio organismo, ha prodotto in realtà una delle sostanze più ossidanti esistenti nell’uomo, che a sua volta attiva la proteina Tau 181 che è un indice precoce della successiva deposizione di sostanza amiloide.
La presenza di metilgliossale (misurabile oggi attraverso il test PerMè di GEK Lab) è di fatto una sorta di segnale preliminare di un successivo deposito di amiloide e di sviluppo di Alzheimer.
Significa che le ipotesi statistiche ed epidemiologiche formulate nel recente passato, sono oggi completamente confermate. Si è capita finalmente non solo la relazione statistica tra zuccheri e demenza ma anche la modalità specifica con cui si arriva alla deposizione di amiloide e all’Alzheimer, facendo quindi passi giganteschi verso la possibile prevenzione di questo tipo di malattie..
Conoscere il proprio livello di metilgliossale e capire in anticipo se il proprio organismo ha elevati livelli di glicazione, consente a ogni persona di attivare in tempo una giusta prevenzione della evoluzione verso la degenerazione neuronale.
Come abbiamo spesso segnalato non vanno mai “eliminati” gli zuccheri ma si deve comprendere, invece, quale sia il livello individuale di glicazione per scegliere un programma nutrizionale personalizzato che moduli la quantità giornaliera di zucchero, di alcol e di frutta per rientrare in una condizione di normalità ed evitare la degenerazione cerebrale.
Misurare è meglio che supporre, e conoscere la propria glicazione consente di intervenire in modo efficace e tempestivo nella prevenzione della demenza e supportarne la terapia.
Oggi, quando visito i miei pazienti e domando come sono mancati i genitori o i nonni, in 1 caso su 3 mi sento dire che una forma di demenza senile o di neurodegenerazione ha colpito il parente negli ultimi 8-10 anni di vita…
Senza rinunciare agli zuccheri, prevenire per se stessi questa evenienza è nelle potenzialità di tutti.