Sistema immunitario e “Teoria del pericolo”: perché starnutiamo?
Nel 2002, l’immunologa statunitense Polly Matzinger pubblicò su Science una valutazione sulle azioni del sistema immunitario che definì la “Teoria del Pericolo” (The Danger Theory), discutendo il fatto che le reazioni allergiche (dalla rinite all’asma) non dipendono solo dalla reazione ad un singolo polline o alimento, da considerare come qualcosa di esterno a se stessi, ma anche da una serie di condizioni esterne (tra cui oggi possiamo indicare infiammazione, glicazione, inquinamento, stato emotivo) che alterano la fisiologia cellulare.
Si tratta di una percezione che in quegli anni era considerata rivoluzionaria (Eurosalus pubblicò allora l’articolo “La nuova visione”) ma che nel tempo ha acquisito sempre più valore e autorevolezza scientifica.
Questo nonostante le numerose opposizioni da parte di scienziati e allergologi che davano (e in alcuni casi danno anche oggi) valore alla identificazione del “nemico” come qualcosa di diverso da se stessi contro cui il sistema immunitario deve combattere. In realtà, identificando il nemico come “il diverso” si rischia di perdere di vista la reale possibile azione terapeutica per le malattie allergiche, per quelle autoimmuni e per quelle tumorali.
È almeno dagli anni a cavallo del passaggio del millennio che si scopre, infatti, che nell’organismo girano un buon numero di autoanticorpi, senza provocare alcun danno (la teoria classica dice che se si fanno anticorpi scatta la malattia autoimmune) e che quando si mangia un qualsiasi pasto, ci sono comunque antigeni proteici (del latte, del glutine, del riso, dei legumi eccetera) che entrano nel flusso sanguigno senza creare danno o reazione di alcun tipo.
Eppure tutti conosciamo la reazione intensa di mal di pancia che condiziona il passaggio di qualche antigene del latte nell’intestino di un soggetto allergico. Cosa cambia tra il soggetto allergico e quello non allergico? E cosa cambia tra il soggetto con malattia autoimmune e quello che non la sviluppa?
Sul piano dell’allergia, numerose ricerche stanno oggi confermando la teoria formulata dalla Matzinger (The Danger Theory), spiegando appunto che le cellule del sistema immunitario non sono deputate solo a riconoscere sostanze estranee e diverse da se stessi. La loro funzione principale è quella di mantenere una condizione di equilibrio verso le sostanze (pollini, particelle, alimenti) che ci possono fare bene, e di reagire invece nei confronti di quelle che ci possono fare male.
Il sistema immunitario, quindi, attraverso la sua reazione ci consente di distinguere in un certo senso tra il bene e il male, mantenendo in memoria anche certi tipi di esperienze vissute, in cui un antigene (alimento o polline) si è affiancato ad una condizione di allarme.
Questo spiega quanto decritto sul JACI fin dal 2017 per il 62% delle reazioni allergiche, quelle in cui non si capisce in modo univoco la presenza di una sostanza che scatena la reazione e in cui la glicazione (provocata dall’eccesso individuale di assunzione di zucchero, fruttosio, alcol, carboidrati) diventa responsabile della reazione. Come se il “pericolo” indotto dall’eccesso di sostanze glicanti alterasse la possibilità di risposta che altrimenti (senza zuccheri) sarebbe normale.
Sempre intorno al 2002/2004 la biologa americana Margie Profet ha indicato l’utilità della produzione di IgE come ultimo baluardo difensivo, soprattutto per quanto riguarda le allergie respiratorie, che va ad aggiungersi a tutte le difese precedentemente utilizzate.
La produzione e poi l’attivazione di anticorpi specifici come le IgE porterebbe infatti a tossire, lacrimare, starnutire, evacuare; si tratta di fenomeni come la tosse, l’asma, la diarrea allergica, la rinocongiuntivite, che potrebbero rappresentare il tentativo dell’organismo di eliminare possibili intrusi o sostanze tossiche presenti nell’organismo oppure qualcosa che viene “percepito” con le stesse caratteristiche.
Anche secondo la Profet, infatti, (a spiegazione anche di molti dei fenomeni di cross-reattività che oggi si stanno scoprendo) i nostri linfociti recepiscono contemporaneamente lo stato interno dell’organismo (infiammato, glicato, inquinato, sofferente) e le sostanze che possiamo incontrare nel mondo esterno. E in realtà quando fanno questa lettura contemporanea creano una sorta di legame automatico tra una condizione e l’altra (un link) che si riattiva alla ricomparsa dell’antigene stesso.
In pratica il linfocita, cellula che guida il sistema immunitario e che è costantemente in contatto anche col sistema nervoso centrale, percepisce uno stato di pericolo che può andare da una malattia intercorrente alla glicazione, dall’infiammazione allo stato emotivo (come spiegato dalla Montalcini) e si attiva per capire quali sono le sostanze presenti nell’ambiente che potrebbero giustificare questo pericolo, facendo talvolta dei link non necessariamente corrispondenti ad un reale pericolo.
Questo spiega perché lo stesso polline che manda una persona al Pronto Soccorso non provoca alcun tipo di danno ad un’altra. Dipende quindi sempre da un equilibrio interno, e sappiamo ormai che un’allergia apparentemente limitata al naso (come la classica rinite stagionale) coinvolge invece l’intero sistema immunitario di un individuo.
Una delle condizioni che induce un segnale di allarme e che quindi può attivare una reazione allergica o simil-allergica è la ripetizione alimentare. Come già spiegato su Eurosalus nell’articolo “Europei e Cinesi: stessa malattia causata da gruppi alimentari diversi” né il glutine né il riso sono causa della malattia di Crohn ma la ripetizione sistematica della loro assunzione è una sicura concausa del problema.
La teoria del pericolo della Matzinger ci spiega quindi perché il sistema immunitario non identifica le “sostanze diverse” ma quelle che “che fanno male” in virtù della alterazione della fisiologia interna.
Mi piace citare un altro articolo (ovviamente in inglese) pubblicato proprio dalla Matzinger dal titolo “Il modello del “pericolo”: un senso del sé cambiato e rivisto”, in cui spiega che per oltre 50 anni gli immunologi hanno basato le loro idee sul fatto che il sistema immunitario agisse differenziando il “se stesso” dal “diverso”. Un paradigma che spesso è stato utile ma non riesce a spiegare gran parte delle allergie.
Ma ancora più importante è l’articolo pubblicato nel novembre 2022 su Frontiers in Immunology relativamente alle patologie autoimmuni, oggi in profonda e costante crescita. Nel titolo “Autoimmunità: ci stiamo ponendo le domande giuste?”, la Matzinger dice che la domanda che per decenni ha accompagnato gli immunologi è stata “cosa ha provocato la rottura della tolleranza?”, e il fatto che nessuno stia trovando la soluzione dipende forse dalla scorrettezza della domanda, come lei suggerisce, e non certo dalla incapacità di trovare il colpevole.
Il tema del pericolo e della attivazione dell’autoimmunità è strettamente legato alle caratteristiche di corretto funzionamento della cellula. Per tornare agli esempi fatti prima e già evidenziati a livello internazionale, la glicazione eccessiva, che crea una alterazione profonda della vita cellulare, determina un difetto nella fisiologia delle cellule e condiziona lo sviluppo di autoimmunità.
Per questo motivo, nel centro SMA in cui lavoro studiamo in modo personalizzato l’alimentazione (come sempre facciamo nei percorsi terapeutici per l’allergia) anche in tutte le condizioni di autoimmunità. La possibilità che una condizione di glicazione elevata (identificabile con i Test GEK Lab) o di infiammazione alimentare misconosciuta siano alla base del suo scatenamento è ormai evidente, documentata e applicabile in ambito clinico.
La conoscenza di queste condizioni ambientali di alterazione della fisiologia contribuisce al trattamento corretto di qualsiasi malattia autoimmune.