Farine di insetti negli alimenti e allergie. È davvero un problema?
La possibilità che la farina di grillo (o di altri insetti) possa scatenare allergie crociate con i crostacei, con gli acari e con i molluschi è un tema di cui si discute molto.
Al di là del tema “insetti sì o insetti no” e della necessità sociale, ecologica o politica di utilizzare gli insetti come fornitori di farine proteiche, su cui si continuerà a dibattere a lungo, questa allergia non sembra coinvolgere troppe persone e non è sicuramente, sul piano numerico, un “problemone” sociale.
È sicuramente un tema da conoscere con precisione sul piano individuale (etichettatura, segnalazione di presenza eccetera) ma sul piano allergologico sociale e dei rischi per la popolazione ci sono situazioni sicuramente più rilevanti da affrontare.
Fin da quando si è iniziato a parlare delle farine di insetti (ero ancora un giovincello) ho sempre pensato che grilli e cavallette fossero l’equivalente “aereo e terricolo” dei gamberetti (che amo moltissimo) e che probabilmente la loro mancata assunzione fosse più un problema culturale che nutrizionale.
In effetti avevo ragione. La possibilità di reazioni crociate dipende da un fattore comune, una proteina particolare che si chiama tropomiosina e che è presente in tutti gli artropodi, a partire dai crostacei per arrivare agli insetti, ai ragni e agli acari. La si trova anche nell’Anisakis, un parassita del pesce che obbliga l’abbattitura preliminare del pesce (-20° per almeno 2 ore) quando lo si vuole mangiare crudo come nel sushi.
I gamberetti, quindi, come la farina di grillo o di cavalletta, contengono tropomiosina e possono, in un certo numero di casi, indurre un’allergia alimentare anche grave in chi, allergico ad essa, ne mangi. Questo obbligherà il legislatore a chiederne la segnalazione sulle etichette esattamente come avviene per il sedano o per tutte le atre sostanze alimentari con una potenzialità antigenica.
Diciamo anche che la tropomiosina è una proteina parzialmente termolabile, cioè riduce il suo potenziale allergologico se è cotta. Non viene eliminata del tutto ma sicuramente la cottura ne riduce la quantità che è presente allo stato nativo.
È necessario però parlare un po’ dei numeri di possibile reattività crociata con i crostacei.
Una delle indicazioni più aggiornate sulla epidemiologia statunitense della allergia ai crostacei riporta una prevalenza tra 1,2 e 0,8% (con sintomatologia prevalente di tipo orticarioide), con sintomi di attenzione solo nel 15-18% di questi casi e sintomi potenzialmente gravi (che necessitano di trattamento farmacologico) nel 5-10% di questi ultimi. Si tratta cioè di una possibilità (non certezza) di reazione per una su 10.000 persone che si sono nutrite di farina di insetti.
Una numerosità che giustifica l’attenzione normativa (come dovuto) ma che non rappresenta l’enorme problema che sembra apparire dalla stampa divulgativa contemporanea. Soprattutto se si pensa che la prevalenza delle allergie alimentari complessive riguarda (stando a una delle più recenti ricerche epidemiologiche effettuata a Taiwan) il 3,3% della popolazione complessiva, cioè 330 persone su 10.000, se vogliamo confrontare il dato con quello della reazione ai crostacei o alle farine di insetti.
Forse può essere più chiaro un altro esempio. Se immaginiamo uno stadio calcistico importante (il Maradona ad esempio, piuttosto che San Siro) con 80.000 persone che seguono un “big match”, se tutti mangiassero farina di insetti in qualche preparazione alimentare potremmo avere ben 7-8 persone con possibilità di reazione alla tropomiosina con necessità di uso di farmaci.
Il confronto può essere fatto con le persone celiache presenti in quello stadio. Circa 800 persone, di cui almeno 300-400 inconsapevoli della condizione celiaca e sollecitati dalla vendita di panini o toast o coni gelati. E non per questo ci sono giornali che discutono il rischio dei celiaci allo stadio… (ma il glutine, come sarà per la farina di insetti, deve essere segnalato sulle etichette).
Il numero delle persone allo stadio che potrebbero avere reazioni allergiche o simil allergiche (tosse, orticaria, crisi di asma, pruriti, difficoltà di deglutizione, ipotensione eccetera) dovute ad un eccesso individuale di zuccheri o di fruttosio o di dolcificanti usati nei cibi riguarda invece ¼ della stadio. Infatti 32.000 persone hanno una storia di possibile allergia e di queste, circa 20.000 potrebbero avere un aggravamento della loro sintomatologia, se presente, mangiando cibi dolci, gelati e snack distribuiti all’interno dello stadio senza alcuna precauzione.
Eurosalus ha discusso questo tema fin dalla sua prima evidenza scientifica nel 2017, spiegando che il 62% delle reazioni allergiche, quelle non immediatamente chiare nelle cause, può dipendere dalla glicazione. Si potrebbe allungare l’elenco delle manifestazioni allergiche favorite da un elevato livello di Metilgliossale o di Albumina glicata (evidenziabili con il test PerMé o con il Glyco Test) ma basta citare la relazione tra zuccheri ed asma molto ben descritta nell’articolo “Togliendo gli zuccheri scompare anche l’asma”.
Questo aspetto (che ben 2 su 3 siano allergie legate anche all’uso di zuccheri) spiega anche perché le allergie ai crostacei siano più frequenti in ambito urbano, dove si trovano contaminanti, inquinanti ambientali, e uso importante di snack, merendine e altre sostanze dolci o dolcificate. L’Università di Chicago ha definito infatti che le allergie ai crostacei sono molto più frequenti negli ambienti urbani piuttosto che non sulla costa dove l’assunzione di crostacei è molto più elevata.
Su Eurosalus abbiamo discusso ampiamente questo aspetto innovativo delle reazioni allergiche, in un articolo dal titolo “Vaso pieno e allergia: quando qualsiasi goccia la può scatenare”. C’è sicuramente l’obbligo individuale e normativo a cercare un possibile colpevole (che sia il glutine, l’astice o la farina di grillo), ma la maggior parte delle reazioni allergiche sono legate oggi al “vaso pieno” e la glicazione, insieme alla infiammazione da alimenti, è una delle cause più rilevanti di questo innalzamento di soglia che facilità la reazione.
Per questo, nel centro SMA in cui lavoro, studiamo sempre in modo personalizzato l’alimentazione delle persone che seguiamo nei percorsi terapeutici per l’allergia e teniamo da conto sia le possibili allergie IgE mediate (e anche il loro livello) ma anche il contesto in cui queste si manifestano, capendo ad esempio quali siano i livelli di Vitamina D3 e di Zinco e soprattutto valutando l’infiammazione da zuccheri e da alimenti (test GEK Lab) che sono gli aspetti nutrizionali immediatamente applicabili nella propria quotidianità per recuperare il proprio benessere, prevenire le anafilasssi e vivere senza allergie, ipotetiche o reali che siano.
Forse oggi non è tanto importante discutere della farina di grillo e delle sue scarne numeriche di reazione ma dell’ambiente alimentare che la popolazione sta vivendo, con presenza smodata di cibi ultra raffinati o ultra processati (UPF), eccesso di zuccheri e ripetizioni alimentari che generano infiammazione e predisposizione alla reazione allergica.