Cioccoolisti Anonimi: la bevanda segreta dei primi Maya
Il fascino dell’archeologia non risiede unicamente nella riesumazione dal sottosuolo di intere città, di sontuosi palazzi o di gigantesche costruzioni megalitiche, ma anche in un talento che assimila in qualche misura l’archeologo al detective dei romanzi gialli: la vocazione a ricostruire scenari, fatti e – eventualmente – misfatti partendo da pochi, sparsi e piccoli indizi.
Questa sottile capacità investigativa ci permette ad esempio di conoscere, sulla base di ritrovamenti all’apparenza insignificanti come semi, bucce o avanzi microscopici di pasti, gli elementi essenziali della dieta di popolazioni e civiltà scomparse da migliaia di anni. Scoperte del genere possono dirci molto sulla storia dell’agricoltura, della cucina e dell’alimentazione umana e, in un caso come quello di cui qui intendiamo occuparci, ci aprono lo sguardo sulla lunga serie di sperimentazioni, audaci e a volte insidiose, che hanno condotto l’uomo, attraverso i secoli, a sfruttare appieno alcune prelibatezze che la Natura, pur producendole in abbondanza, gli teneva nascoste nel segreto delle sue piante, dei suoi frutti, dei suoi semi.
Somma tra queste prelibatezze è il cioccolato: all’uomo europeo il cacao tenne nascoste le sue delizie così bene e così a lungo che, fino al XVI secolo, non era in grado neppure di immaginarle. Ma, al di là dell’Atlantico, le popolazioni dell’America precolombiana lo apprezzavano e gustavano da secoli quando gli Spagnoli sbarcarono sulle loro coste.
Da quanti secoli? Parecchi, questo è certo, anche se una data d’inizio del voluttuoso rapporto tra le due specie (Homo sapiens e Theobroma cacao) non è possibile stabilirla con esattezza. Si riteneva, sulla base dei ritrovamenti di questi ultimi anni, che le prime sperimentazioni con il cioccolato risalissero al 500 a.C. circa.
Ora la scoperta di un gruppo di archeologi delle università americane Cornell di Ithaca (NY) e Berkeley di San Francisco (Cal), annunciata in un articolo di prossima apparizione sull’autorevole periodico Proceedings of the National Academy of Sciences, ma già consultabile online, induce a retrodatare il primo incontro tra uomo e cacao di oltre mezzo millennio, collocandolo intorno al 1150 a.C. (JS Henderson et al, PNAS 2007 Nov 16, first published online).
Ma, per la verità, non è quella cronologica la novità più interessante del contributo del professor John S. Henderson e dei suoi colleghi: secondo uno dei massimi esperti del tema, Michael D. Coe, coautore del libro La vera storia del cioccolato, il consumo del cacao da parte delle popolazioni del Centroamerica è testimoniato almeno a partire dal 2000 a.C.
La novità è un’altra e sta a suggerire attraverso quali audaci sperimentazioni l’uomo sia arrivato a estrarre il segreto gastronomico della pianta del cacao dal nascondiglio in cui sta racchiuso: il seme.
Questi primi consumatori del cioccolato utilizzavano, in luogo del seme, la polpa del frutto, la lasciavano fermentare e la gustavano infine sotto forma di una specie di tisana dolce e dal discreto contenuto alcolico (più o meno paragonabile a quello della birra). Una bevanda che, senza alcun dubbio, li inebriava, sia con il suo sapore sia con il suo spirito.
I frutti del Theobroma cacao sono ovoidali, molto vistosi e, a piena maturazione, raggiungono un peso non comune: dai 300 grammi in su, fino addirittura al chilo. Vederli pendere dai rami, grossi, rossi e maturi, doveva essere una tentazione irresistibile. Si cominciò da lì, dall’acquolina che la semplice vista del frutto bastava a far gocciolare in bocca. E ci vollero ancora secoli per capire che la vera magia stava nei semi.
La scoperta è avvenuta nella Valle di Ulua, nel nord dell’attuale Honduras, cioè proprio nella culla di quella che più tardi sarebbe diventata la grande civiltà dei Maya. I “cioccoolisti” che hanno lasciato tracce del loro squisito vizio di bevitori sui frammenti di vasellame riportati alla luce dalla spedizione archeologica sono dunque da considerarsi progenitori dei Maya del periodo cosiddetto classico: Maya preclassici, un po’ trascurati dagli studiosi perché considerati arcaici.
Di certo, però, sarebbe fuori luogo giudicarli primitivi: avevano, oltre al gusto delle cose buone, anche quello della sperimentazione alimentare.