D: la vitamina che non fa ingrassare
Da qualche parte la vitamina D3 doveva sicuramente avere qualche relazione con il problema del metabolismo.
Quando la somministrazione di questa vitamina è in grado di determinare un miglioramento generale della sopravvivenza media e un importante guadagno di vita, viene spontaneo pensare che possa dipendere da una azione di controllo della insulinoresistenza, oggi riconosciuta alla base dei processi di invecchiamento e di malattia.
E infatti dopo le recenti notizie relative agli effetti della vitamina D sulla mortalità da tutte le cause, un nuovo lavoro evidenzia che la vitamina D è in grado di ridurre la adipogenesi.
Questo effetto interviene grazie alla azione sui PPARs (per gli addetti ai lavori: Peroxidase Proliferator Activator Receptor) cioè sui recettori nucleari che funzionano da modulatori del metabolismo (Wood Rj, Nutr Rev. 2008 Jan;66(1):40-6).
Le azioni che contribuiscono a attivare questi recettori nucleari sono le stesse che modificano l’insulinoresistenza di una cellula. Il movimento fisico, il bilanciamento della azione insulinica dei cibi, la corretta miscelazione degli alimenti, la masticazione e così via. Mediamente si tratta dei principi delle diete di segnale.
L’azione della Vitamina D3 sembrerebbe dovuta ad una competizione tra i recettori della vitamina a livello cellulare e i ligandi dei recettori nucleari dei PPARs.
In pratica quindi la Vitamina D entra a pieno titolo tra quelle sostanze in cui l’azione sul Calcio e sull’osso sembra essere davvero una parte minima della sua azione, mentre la modulazione fine, di segnale, della attività nucleare riveste una importanza clinica ben più ampia di quanto si sia creduto fino ad oggi.
Il fatto che l’azione della Vitamina D3 possa essere sostituita (almeno in estate) dalla semplice esposizione solare del corpo, ci riporta ad una fisiologia dell’organismo estremamente semplice, capace di trovare nelle cose semplici le basi del proprio corretto funzionamento e della propria salute.