Sovrappeso, malattie del metabolismo e metilgliossale. Una relazione che si può controllare
Nel nostro lavoro capita sempre più spesso di incontrare persone che per dimagrire mangiano poche calorie, si sottopongono a diete da fame e continuano purtroppo a mangiare gli stessi alimenti “ipocalorici” usando terribili dolcificanti “a zero calorie” di cui è ormai dimostrata la assoluta inutilità a fini dimagranti.
Inoltre, nel conteggio calorico delle persone che non riescono a dimagrire rientrano spesso dolcetti (pur piccoli ma quotidiani) e zuccheri inconsapevoli. Basta pensare alle “marmellate di sola frutta” per le quali una persona crede di non mangiare zuccheri mentre sta facendo una abbondante introduzione di fruttosio che contribuisce anche più del glucosio alla glicazione e all’aumento della massa grassa.
Come abbiamo spiegato più volte, nel centro SMA in cui lavoro insieme a tutto lo staff di medici e nutrizioniste non demonizziamo mai gli zuccheri, e consentiamo anzi il loro uso, in relazione ai personali livelli di glicazione, in specifici pasti della settimana.
Gli zuccheri non sono negativi, e devono essere utilizzati in modo piacevole ma coordinato, in un numero di pasti (da 2 a 10 alla settimana) definito in relazione ai livelli di albumina glicata o di metilgliossale misurati nell’organismo (io purtroppo, vista la mia pessima genetica, salvo che nei periodi di vacanza, sono obbligato ad un massimo di 2-3 assunzioni settimanali).
Per anni il mondo si è arrampicato sulle calorie da conteggiare demonizzando le proteine. Fortunatamente, dal 2010 la Harvard Medical School ha definito scientificamente la necessità di bilanciare carboidrati, proteine e fibra in OGNI pasto (prima colazione compresa), evitando il calcolo delle calorie, per mantenere in equilibrio infiammazione e resistenza insulinica (che c’entra con la glicazione).
Ma già dal 2010 si era capito che uno specifico marcatore di infiammazione da alimenti, come il BAFF, era in grado di alterare il metabolismo facilitando l’ingrassamento.
Ora, una review pubblicata in dicembre 2021 su Chemical Research in Toxicology ha decritto in modo preciso la relazione tra metilgliossale, obesità e malattie metaboliche.
Significa che dislipidemie, diabete, prediabete, obesità, iperuricemia e gotta sono fortemente correlate al livello di metilgliossale. La figura che si trova al link originale dell’articolo evidenza sinteticamente il fatto che il metilgliossale sia l’effettivo mediatore della attivazione di questo tipo di malattie.
Purtroppo, come abbiamo già evidenziato e spiegato su queste pagine, il metilgliossale è anche l’indicatore della variabilità glicemica ed è correlato alla neurodegenerazione (declino cognitivo, demenza, Alzheimer).
Controllare i propri livelli di metilgliossale e di albumina glicata (test PerMè e Glycotest) non serve quindi solo per migliorare le proprie possibilità di “rimessa in forma” e di dimagrire con la adeguata nutrizione e con la attività fisica idonea alla singola situazione, ma serve anche per aiutare il controllo delle malattie croniche e degenerative più rilevanti nel panorama attuale.
Oggi è quindi possibile intervenire sulle alterazioni metaboliche attraverso la conoscenza vera dei processi di glicazione, superando vecchie convinzioni e modulando su base scientifica la personalizzazione della propria dieta.