Evitamento e anoressia, quando il cibo è la bestia nera
Intorno al cibo e alla relazione con l’energia che rappresenta, ruotano numerose patologie e disturbi fisici e psichici. Obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, colon irritabile e tante altre condizioni di malattia hanno una stretta correlazione con gli alimenti.
Tra questi disturbi rientrano anche i disturbi del comportamento alimentare (DCA) che vanno dall’anoressia alla bulimia o ai fenomeni di “binge eating” o di “binge drinking” cioè le abbuffate di cibo o di alcolici.
Con il nostro gruppo di ricerca e insieme ai medici e nutrizionisti del centro SMA in cui lavoro seguiamo da sempre con particolare attenzione questo tipo di disturbi poiché l’analisi dei processi infiammatori e metabolici che noi attuiamo nei nostri percorsi terapeutici riesce a caratterizzare una parte prettamente fisica su cui si può intervenire, supportando così il lavoro psicologico e nutrizionale che deve accompagnare questi disagi.
Fin dal 2001, su Eurosalus abbiamo anticipato i temi della anoressia maschile quando nessuno (o quasi) ne parlava e discusso attentamente di come l’eccesso di attenzione al cibo “sano” (ortoressia) fosse in realtà l’anticipazione di un disturbo complesso del comportamento alimentare.
Nel corso degli ultimi 20 anni, l’evoluzione sociale e culturale ha portato a numerosi cambiamenti nelle manifestazioni esteriori dei disturbi alimentari e in particolare si è fatta strada l’idea che alcuni cibi sanissimi potessero fare male, al punto da doverli evitare completamente per il proprio benessere.
I falsi miti delle cosiddette “intolleranze alimentari” (ricordiamo che ne esistono solo due tipi, la intolleranza al glutine di tipo celiaco e la intolleranza biochimica al lattosio) hanno fatto sì che venissero utilizzate diagnosi poco credibili o del tutto a-scientifiche come se indicassero una specie di allergia che obbligasse a escludere completamente quel cibo dalla propria alimentazione.
Nel 2019 ho pubblicato il libro “Le intolleranze alimentari non esistono” anche per spiegare i danni di questo tipo di atteggiamento e per aiutare a comprendere che la eliminazione porta a sviluppare spesso infiammazione per un eccesso di utilizzazione dei cibi sostitutivi e può indurre, soprattutto nei soggetti giovani, disturbi della crescita e dello sviluppo.
Anche quando molti anni fa utilizzavo ancora il termine ormai obsoleto di “intolleranza” il nostro scopo è sempre stato, come ora, quello di aiutare la reintroduzione degli alimenti per arrivare ad un rapporto amichevole e fisiologico con il cibo. L’alimentazione, infatti, deve essere varia, ricca, completa e piacevole. Esiste sicuramente un tema di infiammazione correlata sia con gli alimenti sia con gli zuccheri, e la si può misurare e seguire nel tempo. Questo non richiede MAI (salvo casi di severa allergia documentata) la eliminazione o l’evitamento di un cibo o di un gruppo alimentare.
Quello che molte persone già predisposte a scivolare verso un disturbo del comportamento alimentare hanno invece recepito e usato, sulla base di test e di suggerimenti diagnostici scorretti, è stato il concetto di alimento “nemico”, attivando processi di evitamento tanto inutili quanto pericolosi. Molte persone cercavano e cercano attraverso diagnosi mediche o pseudomediche e spesso a-scientifiche di avere la scusante pratica per iniziare, per apparente “giusta causa”, un processo di eliminazione.
Un gruppo di scienziati internazionali (USA, UK, CH) sta pubblicando numerosi lavori di ricerca su questa entità patologica nuova, chiamata ARFID (Avoidant Restrictive Food Intake Disorders) e uno di questi, pubblicato in settembre 2021 sul Journal of Clinical Psychiatry, discute la prevalenza del disturbo e la sua definizione.
Già il DMS V (il manuale e nomenclatore dei disturbi psicologici e psichiatrici), nella sua ultima edizione, segnalava l’esistenza di questo disturbo alimentare, caratterizzandolo come soprattutto orientato all’età infantile, anche se questa definizione è ancora meritevole di ulteriore precisazione.
Ormai però si ha la sensazione che un numero sempre maggiore di adolescenti, giovani e adulti stia muovendosi in questa direzione. Che si tratti di una improvvisa e obbligata scelta totale di vegetarianesimo o veganesimo o della eliminazione del glutine su base acritica, spesso è necessario valutare con attenzione anche il quadro psicologico di queste persone e capire il perché fisico e mentale di queste scelte per aiutare a superare il disturbo, quando sia effettivamente tale.
Vale la pena ricordare, sul glutine, che lo 0,9% della popolazione ha una intolleranza al glutine (sono cioè celiaci), il 25% della popolazione soffre di NCGS (Sensibilità al Glutine Non Celiaca) per la quale deve solo ridurre la frequenza di assunzione glutinica senza mai eliminarlo, e che purtroppo quasi il 50% della popolazione occidentale ritiene che il glutine possa essere causa dei suoi disturbi. Molti di questi lo eliminano, in modo acritico, senza considerare i possibili danni che ne derivino.
Quando si incontrano ragazzi o adulti con problemi di evitamento alimentare, è necessario anzitutto ascoltare e capire, attivare anche un processo di valutazione psicologica e di eventuale supporto terapeutico alla soluzione e definire con correttezza il quadro fisico. Una ricerca interessante, pubblicata in gennaio 2022 sul Journal of Allergy and Clinical Immunology in Practice, riconosce ad esempio che lo stress causato dall’obbligo alla eliminazione delle persone con una supposta allergia alimentare a due o più alimenti porta in molti casi a sviluppare una tematica psichica di evitamento, pericolosa e inutile, che ha bisogno di essere trattata.
Lo studio dell’infiammazione, l’analisi della glicazione (spesso i meccanismi di ricerca del cibo sono correlati alla attivazione di processi di dipendenza dagli zuccheri) e la identificazione del profilo alimentare personale (test GEK Lab) consentono di affrontare questi disturbi in modo più completo integrando conoscenze fisiche che contribuiscono ad aiutare, sotto la guida di medico, psicologo e nutrizionista, la persona sofferente.