Tachicardia, cardiopalmo, aritmie ed extrasistoli. Quando il cibo può esserne causa
Le aritmie cardiache sono un fenomeno frequente. Il cuore che batte all’impazzata o che sussulta nel petto nei momenti più impensati ha sempre messo in allarme pazienti e medici.
Si tratta di fenomeni che possono dipendere da anomalie elettriche o anatomiche del cuore, ma spesso non vengono comprese fino in fondo nelle loro cause e solo trattate sintomaticamente.
Ricerche recentissime hanno permesso di capire che molte aritmie cardiache sono strettamente correlate a citochine infiammatorie come TNF-alfa, BAFF, IL6 e altre ancora.
Che si tratti di cardiopalmo, di fibrillazione atriale, di tachiaritmie o di extrasistoli, la possibilità che il fenomeno sia facilitato o addirittura indotto e scatenato dall’incremento di alcune specifiche citochine è sempre più dimostrato.
Questo risulta dalla pubblicazione nel febbraio 2017 su Trends in Cardiovascular Medicine della documentata azione del TNF-alfa nelle aritmie della malattia cardiaca di Chagas (Cruz JS et al, Trends Cardiovasc Med. 2017 Feb;27(2):81-91. doi: 10.1016/j.tcm.2016.08.003. Epub 2016 Aug 11) oppure dalla pubblicazione su PLoS One nel 2016 da parte di un gruppo di ricerca cardiologico statunitense della evidenza che nella fibrillazione atriale la presenza di IL6 (interleuchina 6) sia un fattore predittivo indipendente da altre comorbidità (Amdur RL et al, PLoS One. 2016 Feb 3;11(2):e0148189. doi: 10.1371/journal.pone.0148189. eCollection 2016).
Significa che l’infiammazione, comunque indotta (e per noi quella alimentare è di fondamentale importanza), è in grado di facilitare o indurre in modo autonomo le alterazioni del ritmo cardiaco.
Si tratta di effetti che vanno molto al di là degli stimoli “farmacologici” diretti esercitati da alcuni cibi o da alcune bevande, come la caffeina, l’alcol, i formaggi e certi cibi molto fermentati (ad esempio le banane molto mature). Parliamo di effetti dovuti allo stimolo infiammatorio e alla azione delle citochine provocate dal contatto con il cibo.
Un gruppo di ricercatori e odontoiatri tedeschi ha pubblicato su Biomolecules, nel settembre del 2018, una interessante ricerca che ha descritto le possibili relazioni tra le infiammazioni della bocca e dei denti e la fibrillazione atriale.
Una delle ipotesi più significative è quella della produzione di citochine infiammatorie dai tessuti gengivali, che inducono sul cuore la facilitazione di aritmie. Questo significa che la presenza di aritmie obbliga non solo una scelta alimentare adeguata, ma anche un controllo odontoiatrico accurato che può spesso essere una forma di trattamento tanto impensata quanto efficace (Aarabi G et al, Biomolecules. 2018 Aug 1;8(3). pii: E66. doi: 10.3390/biom8030066).
Una ricerca statunitense del 2016 ha dimostrato in modo preciso che anche le pericolose aritmie postinfartuali, quelle che insorgono dopo un fatto ischemico o un infarto cardiaco, possono dipendere dalla presenza di citochine specifiche e non solo da un fenomeno elettrico, come si era continuato a pensare fino a poco tempo fa.
Le ricerche effettuate in ambito allergologico negli anni 80 e 90 dell’ultimo secolo, quando ancora si usava il termine ormai in disuso di “intolleranza alimentare”, avevano già evidenziato che la presenza di una ipersensibilità alimentare potesse determinare fenomeni anche molto evidenti di alterazione del ritmo cardiaco.
De Luca nel 1990 aveva pubblicato i risultati di una ricerca con la quale aveva studiato con metodica “Holter” (rilevando in continuo per 24 ore il ritmo cardiaco) bambini con ipersensibilità già nota, effettuando prove di carico a livello intestinale. Il suo studio evidenziò un innalzamento della frequenza cardiaca esattamente contemporaneo alle reazioni di tipo intestinale e polmonare dovute alla reattività alimentare, molto evidenti durante la fase di challenge o di carico (De Luca L et al, Pediatr Med Chir, 1990; 12; 2: 139-145).
Questo fatto confermava, già allora, che alcuni fenomeni di disturbo del ritmo cardiaco che non fossero causati da anomalie specifiche del cuore potessero dipendere da uno stimolo infiammatorio indotto, a livello intestinale, dall’incontro col cibo. Significa che misurare il livello di infiammazione e comprendere il profilo alimentare di una persona può viceversa contribuire (con la dieta corretta) alla guarigione o al miglioramento di queste forme.
C’è un altro fenomeno cardiologico drammatico che ora vede coinvolte le citochine infiammatorie. Si tratta della cosiddetta “Sindrome del Q-T lungo” che è causa di molte aritmie gravi e sembra essere correlata ai casi di cosiddetta “morte in culla”.
Già nel 1989 Petrus, in uno studio francese pubblicato su Allergie et Immunologie, aveva descritto un caso di morte in culla ascrivibile specificamente a un fenomeno elettrico indotto dalle reazioni infiammatorie dovute ad una allergia al latte vaccino (Petrus M et al, Allerg Immunol (Paris). 1989 Feb;21(2):77-8).
In medicina le conoscenze sul cibo hanno però bisogno di molti anni per arrivare a una maggiore definizione e infatti nel novembre 2015 è stata pubblicata una review su In Vivo che descrive gli effetti delle differenti citochine infiammatorie (tra cui anche quelle correlate all’alimentazione) in grado di interferire sul ritmo cardiaco determinando un allungamento del tempo Q-T (Sordillo PP et al, In Vivo. 2015 Nov-Dec;29(6):619-36).
Questi lavori aprono infinite possibilità di diagnosi e di terapia. Basti pensare alla possibilità di impostare il giusto e personalizzato schema di alimentazione in ogni persona che abbia avuto un infarto, fin dai primi momenti post ischemici, oppure pensare ad una dieta preventiva che possano seguire le mamme che allattano nei primi mesi in cui il rischio di “torsione di punta” è maggiore.
Sappiamo con certezza che le diete “giuste” non sono più diete “standard”, ma diete che considerino i profili alimentari personali e i livelli individuali di infiammazione: ad ogni persona la sua dieta.
Nella esperienza clinica del nostro centro, il fatto di trattare questi fenomeni con lo stesso tipo di percorso terapeutico che utilizziamo per alcune forme di malattia autoimmune come l’artrite reumatoide, trova giustificazioni e conferme scientifiche di rilievo.
In patologie come l’artrite reumatoide infatti, in cui sono elevati i livelli di citochine infiammatorie come BAFF, TNF-alfa e PAF, una ricerca pubblicata nel 2016 su Clinical Reviews in Allergy and Immunology ha verificato una prevalenza elevata di fenomeni cardiologici (correlabili in modo indipendente alle citochine) rispetto ai soggetti di controllo (Lazurova I et al, Clin Rev Allergy Immunol. 2016 Jun 25. [Epub ahead of print]).
Nelle patologie autoimmuni come queste (oltre a Crohn, colite ulcerativa, rosacea, psoriasi, tiroidite di Hashimoto e altre ancora) si è vista una strettissima connessione con il tipo di alimentazione, che come sappiamo è in grado di fare crescere i livelli di BAFF e di indurre numerose malattie con questo correlate.
Va sempre considerata anche la importante componente emotiva che guida spesso forme aritmiche non infiammatorie o che complica quelle infiammatorie, ma si tratta di una indicazione che trova applicazione in tutti i campi della medicina.
La buona notizia è che i livelli di citochine infiammatorie si possono oggi misurare con molta più facilità di un tempo e una semplice analisi può aiutare a definire il piano alimentare individuale che aiuti a ridurre l’infiammazione e contribuire al controllo di questi fenomeni.
Di fronte ad una aritmia cardiaca non motivata da cause anatomiche o elettriche ben definite, con una sintomatologia non univoca e priva di possibili basi organiche, la ricerca della infiammazione da cibo e di una modalità alimentare personalizzata è non solo plausibile, ma ora, su base scientifica, sta diventando necessaria. Oltre al controllo periodico approfondito con il proprio dentista.