Mi accorgo di non ricordare. Probabilmente non ho l’Alzheimer…
Una ricerca del JAMA (una delle riviste mediche più autorevoli al mondo) evidenzia che la consapevolezza di dimenticare nomi, persone, eventi o situazioni non è di solito correlata alla malattia di Alzheimer o ad altre forme gravi di declino cognitivo.
Chi si accorge di non ricordare e sottopone a critica queste dimenticanze è in una condizione clinica nettamente migliore di chi semplicemente si dimentica e anzi poi afferma di “ricordare benissimo” elementi che alla prova dei fatti non sono veri o non sono mai accaduti.
In uno studio durato 11 anni, su persone definite “stabili” per almeno due anni precedenti l’inizio dello studio, i ricercatori della Harvard Medical School hanno esplorato sia la funzione mnemonica (il fatto di ricordare o dimenticare) sia la consapevolezza della dimenticanza.
Hanno confrontato i dati mnesici con la situazione clinica di ogni soggetto, corredata anche dalle valutazioni neuroradiologiche necessarie per una definizione precisa del declino cognitivo o del suo livello di progressione.
Il risultato è stato straordinario: l’evoluzione verso l’Alzheimer è stata decisamente più intensa per le persone che non erano consapevoli della dispersione mnemonica; persone cioè convinte di ricordare benissimo pur a fronte di realtà diverse.
Usando una scala validata per misurare la consapevolezza, un miglioramento di un punto era associato con una riduzione dell’84% del rischio di progressione della malattia mentre un peggioramento di un punto (indice anche di possibile lesività dei circuiti neuronali profondi) era correlato ad un aumento di oltre 5 volte (+540%) del rischio di progressione verso l’Alzheimer grave.
Il declino cognitivo dipende da molteplici fattori ma uno dei più importanti è sicuramente la presenza di livelli elevati di glicazione, cioè di eccesso di zucchero, fruttosio, alcol, dolcificanti e polioli che facilitano la creazione di grovigli neuronali e il deposito di beta-amiloide.
Questi livelli di glicazione sono oggi misurabili e soprattutto si può seguirne l’evoluzione per capire se il controllo nutrizionale personalizzato è efficace nella loro regolazione.
Sulle pagine di Eurosalus abbiamo già discusso a lungo degli effetti degli zuccheri nel declino cognitivo con questo articolo sulla “Perdita di memoria per i nomi” e questo articolo sul “Controllo della glicazione per evitare l’Alzheimer.
Una corretta impostazione nutrizionale può essere di fortissimo impatto nella prevenzione del declino cognitivo.
La conferma dell’importanza dell’alimentazione e della glicazione nella cura e nella prevenzione delle malattie neurodegenerative è arrivata soprattutto negli ultimi anni, anche se già da molti anni, un numero elevato di ricercatori definiva la malattia di Alzheimer “Diabete di tipo 3”, evidenziando cioè il ruolo importantissimo degli zuccheri (di tutti gli zuccheri) nella sua comparsa e nella sua evoluzione.
Nel 2020 infatti, una ricerca pubblicata sull’International Journal of Molecular Sciences ha precisato che nella malattia di Alzheimer, la formazione di sostanza amiloidea (beta-amiloide) e la sua rimozione dal tessuto cerebrale sono entrambi processi correlati con la resistenza insulinica e che la alterata regolazione degli zuccheri porta sia ad una maggiore produzione di beta-amiloide sia ad una riduzione della sua rimozione dal cervello.
L’ultimo pezzettino del puzzle, però, è arrivato con la pubblicazione, nel marzo 2022 sul Journal of Alzheimer’s Disease, di una ricerca effettuata da studiosi di differenti Università statunitensi, che ha dimostrato che la proteina Tau 181 (una di quelle attivate e fosforilate dal metilgliossale) è strettamente correlata alla deposizione di sostanza amiloide nel cervello, causa effettiva del declino cognitivo e della alterazione dei processi mnemonici.
Controllare quindi lo sviluppo di metilgliossale attraverso l’alimentazione contribuisce con forza alla prevenzione del declino cognitivo. Meno metilgliossale significa meno Tau 181, meno beta amiloide, meno grovigli neuronali e meno Alzheimer.
Ed è anche utile allenare il cervello a seguire certi tipi di comunicazione.
Di fronte ad una affermazione del tipo “Ma come, non ti ricordi?” Ho imparato (allenandomi) a dire che forse, in effetti, potrei essermi sbagliato.
Sto allenando il mio cervello ad accettare la possibilità di sbagliare…
Purtroppo tra le persone che soffrono di una forma di Alzheimer più intenso e grave, il rifiuto ostativo ad ammettere uno sbaglio è elevatissimo. Frasi come “Non me lo hai detto”, “Mai…”, “Ma stai scherzando…” e “Mi ricordo benissimo…” sono frasi tipiche delle forme di Alzheimer più difficili.
Frasi come “Può darsi…”, “Mi sembra di ricordare, ma se mi aiuti…” e simili sono esercizi di allenamento per la memoria e per lo spirito che di solito garantiscono per una consapevolezza che non è correlata alla malattia e mitiga il suo eventuale progredire.