Menopausa: il topo-lucciola e la soia
Ricercatori dell’Univerità Statale di Milano sono riusciti a incrociare il DNA della lucciola con quello del topo, con l’obbiettivo di avere un nuovo e più efficace strumento per valutare gli effetti di un uso prolungato degli estrogeni nelle terapie sostituive ormonali seguite dalle donne in postmenopausa.
Tali terapie infatti lasciano aperti ancora degli interrogativi, legati soprattutto ad un possibile aumento del rischio dei tumori alla mammella e all’utero.
La proteina estratta dal DNA della lucciola (la luciferasi) è infatti sensibile all’ormone: quando questo è presente in un tessuto lei si illumina. In futuro quindi, con l’aiuto di apposite apparecchiature, sarà possibile seguire il percorso dell’ormone in tutto il corpo del topo-lucciola.
In attesa di conoscere i futuri sviluppi di questa ricerca, si può però ricordare che già oggi esistono terapie naturali alternative a quelle tradizionali di natura chimica per prevenire e curare i sintomi della postmenopausa. Se le vampate di calore ne sono uno dei sintomi più caratteristici, l’ingresso di una donna nella fase della menopausa porta spesso con sè fastidi o disturbi più o meno gravi, associabili al cambio della situazione ormonale che il corpo sta vivendo.
Si va dai problemi di natura cardiovascolare a quelli più legati alla sfera psichica e nervosa, per giungere sino a patologie, come l’osteoporosi, che interessano l’apparato scheletrico.
Essendo la menopausa caratterizzata da una riduzione della sintesi di alcuni ormoni, per curare o prevenire i disturbi ad essa collegati la strada sinora più seguita è stata quella di fornire dall’esterno all’organismo quelle sostanze che non è più in grado di produrre in quantità sufficienti: si attua insomma una terapia sostitutiva ormonale basata su estrogeni di sintesi.
Questo tipo di terapia riesce a dare buoni risultati, sia riducendo i disturbi cardiovascolari e ossei che controllando i sintomi vasomotori (le vampate) nelle donne in menopausa.
Restano però ancora aperti alcuni interrogativi sull’utilizzo per lungo tempo della terapia sostitutiva, legati soprattutto ad un possibile aumento del rischio dei tumori cosiddetti ginecologici (del seno e dell’endometrio).
Tanto è vero che negli Stati uniti l’85% delle donne in menopausa non fanno più ricorso ad alcun tipo di terapia sostitutiva di natura chimica.
Inoltre va sottolineato un altro aspetto: avendo le donne italiane ormai raggiunto una vita media vicina agli 85 anni, si pone il problema di riconsiderare gli effetti di una somministrazione di questi estrogeni per un periodo ormai abbastanza lungo della loro vita.
Una via alternativa viene oggi dal mondo vegetale e in particolare da alcune sostanze che sembrano avere degli effetti simili a quelli degli estrogeni. Si tratta dei fitoestrogeni, che possono essere ampiamente utilizzati come sostitutivi ormonali, sia perché hanno una struttura chimica molto simile a quella degli estrogeni, sia per la loro capacità di modulare la sintesi epatica di questi ormoni.
Le potenzialità di questi fitoestrogeni nel curare i disturbi della menopausa sono state scoperte dall’analisi di alcuni dati epidemiologici riguardanti le donne asiatiche, nella cui alimentazione gioca un ruolo importante proprio la soia, di cui si conosce l’alto contenuto di fitoestrogeni.
Rispetto a quelle occidentali, nelle donne asiatiche sembra che sia nettamente inferiore l’incidenza del cancro alla mammella e che anche un sintomo caratteristico come le vampate di calore sia a livelli più bassi: ne sono colpite infatti solo il 18% delle donne cinesi contro l’oltre 70% delle donne europee.
Queste rilevazioni epidemiologiche hanno fatto pensare ad un possibile legame con l’elevato consumo di soia, che per la popolazione giapponese ad esempio raggiunge e supera i 200 mg al giorno contro i 5 mg dei Paesi occidentali.
Gli Isoflavoni e i Lignani di soia (cioè la forma chimica in cui i fitoestrogeni sono presenti nella pianta) sono dunque sostanze caratterizzate da un’altissima valenza antiossidante e rappresentano un’efficace prevenzione nei confronti delle patologie degenerative e tumorali, in particolare dei carcinoma della mammella.
Inoltre, secondo alcune ricerche, sembrano avere un effetto di prevenzione sui processi di decalcificazione e quindi sull’osteoporosi, che è una patologia di rilievo in postmenopausa. Uno studio epidemiologico condotto dall’Organizzazione mondiale della Sanità ha evidenziato infatti una differenza statisticamente significativa nell’incidenza di fratture fra giapponesi ed europei.
Le uniche controindicazione all’uso dei fitoestrogeni come integratori alimentari sono un’accertata allergia alla soia e uno stato di gravidanza presunta o accertata. Per approfondimenti è possibile consultare in questo sito anche le voci Menopausa e Osteoporosi.