Nuove tendenze: anche paffuto è sano
Dopo anni in cui discutiamo questo tema, finalmente compaiono ricerche scientifiche che riducono di molto il valore dell’indice di massa corporea (BMI che in inglese significa “Body Mass Index” o IMC).
Per lungo tempo si è usato questa misura (che si ottiene da un calcolo che considera solo il peso e l’altezza di una persona) per definire sul piano statistico il concetto di sovrappeso o di obesità.
Per capire l’inutilità di questo parametro basta fare un calcolo semplice: una persona alta 170 cm che pesi 60 chili viene considerata con un BMI di circa 20,8 (ottenuto dalla formula 60 / [1,7 x 1,7]), che sarebbe perfettamente regolare.
Una persona della stessa altezza che pesasse 73 kg otterrebbe invece un valore superiore a 25 che la caratterizzerebbe in sovrappeso.
Ora noi sappiamo che una persona di 170 cm può essere del tutto ipomuscolata e con molto grasso distribuito sui fianchi e sulla pancia (grassa cioè pur con BMI normale) come all’opposto la persona di 73 kg potrebbe essere una persona “palestrata” e assolutamente sana e con scarsa massa grassa addosso.
Questo lo sappiamo da tempo ed è chiaro a chiunque, ma anche recentemente è accaduto che discutendo di questi temi ci si sia sentiti aggredire in difesa del calcolo del BMI.
Abbiamo almeno due lavori scientifici entrambi pubblicati sul Journal of American Medical Associaition (JAMA) che confermano invece queste considerazioni.
Il primo lavoro (Heymsfield SB et al, JAMA. 2013 Jan 2;309(1):87-8. doi: 10.1001/jama.2012.185445) discute anche del fatto che una modesta obesità non aumenti in alcun modo il rischio di mortalità per qualsiasi causa nelle persone che “la portano dignitosamente”.
Il secondo lavoro (Flegal KM et al, JAMA. 2013 Jan 2;309(1):71-82. doi: 10.1001/jama.2012.113905) valuta con una ferrea metanalisi numerosi lavori passati e conferma un basso rischio di mortalità in persone che abbiano un BMI corrispondente a una “obesità lieve”, cioè con un BMI compreso tra 25 e 30.
Si tratta di due conferme importanti, che vanno a confermare che il piano dietetico di una persona non può essere seguito solo misurandone il peso, ma che deve sempre essere considerata anche la massa grassa, per capire quale sia il vero rischio metabolico.
Poi il fatto che “un po’ di ciccia” non faccia male a nessuno è davvero una buona notizia, che rasserena gli animi e cancella alcuni spauracchi potenti che hanno condizionato gli ultimi anni.
Una persona sana, attiva fisicamente (che cioè faccia sport), pur con un po’ di grasso aumentato addosso, attento alla prevenzione, ha un rischio di mortalità del tutto paragonabile a quello di chi è perfettamente in forma. E magari si gode simpaticamente qualche cena in più con gli amici.
Questo è vero almeno fino a che non compaia una sindrome metabolica, che ripassiamo volentieri, legata a contemporaneo aumento della glicemia (superiore ai 100), alla comparsa di ipertensione arteriosa (oltre i 130/85 mmHg), all’aumento dei Trigliceridi (oltre 150 mg/dL) e alla bassa presenza di colesterolo buono (sotto i 40 nei maschi e sotto i 50 nelle femmine) associati a una circonferenza addominale superiore ai 94 cm nell’uomo (sopra i 45 anni) e agli 80 cm nella donna (sopra i 55 anni).
In questi casi è d’obbligo invece riportare in equilibrio vero l’organismo. Probabilmente, una analisi sociologica di questo aspetto porta a considerare che il livello di disponibilità economiche maggiori consente di avere una maggiore quantità di cibo a disposizione (e quindi di “mettere su un po’ di pancia”) avendo dall’altra parte un aumentato livello di attenzione alla prevenzione e una migliore disponibilità di integratori o di farmaci che possono salvaguardare la salute.
Con un limite preciso: che questa maggiore leggerezza dell’animo non si trasformi in abolizione assoluta di controllo o in eccesso alimentare libero. La consapevolezza e il rispetto di se stessi sono tra i beni più importanti da difendere per conservare la salute e il benessere.