Corro, corro e non dimagrisco!
C’è chi corre per andare forte, per stare in salute, o per altri motivi ludici o sociali. Ma vi è anche una larga fetta di corridori il cui scopo principale è quello di dimagrire.
In effetti è ormai vox populi (peraltro del tutto corretta) che senza un po’ di movimento non ci sia modo di intaccare le nostre riserve di grasso. O ci si muove o si resta in sovrappeso.
Eppure, tutti noi conosciamo dei runner che – seppur a livello amatoriale – corrono (o si muovono con costanza) anche 5-6 volte la settimana e non riescono comunque a perdere un solo grammo. Perché?
Non solo calorie
Prima di tutto occorre capire che il grasso corporeo, dal punto di vista evolutivo e da quello del nostro organismo, è tutt’altro che una disgrazia. Ha consentito infatti alla nostra specie di sopravvivere alle tante carestie vissute negli ultimi millenni.
Il grasso è evolutivamente considerato “materiale di salvataggio” e, per perderlo, è necessario dare al nostro corpo dei motivi buoni, solidi e convincenti.
Il movimento fisico regolare e frequente è uno degli stimoli più efficaci ma – come vedremo – può non bastare.
Un amatore che corra 10 km di allenamento quotidiano consumando circa 700 kcal dovrà aggiungerne altrettante al suo menu quotidiano. Se ne aggiunge il doppio è naturale supporre che il suo peso possa non calare.
Tuttavia, l’approccio che si limita al calcolo delle calorie non è determinante, ed è noto come una deprivazione calorica eccessiva nello sportivo possa portare a risultati contrari a quelli sperati: per fare massa magra ci vuole il cibo.
Attenti quindi alle eccessive riduzioni, tenendo presente che sono altri i segnali da considerare, per la perdita di grasso:
- L’attivazione complessiva del metabolismo (serve mangiare e mangiare in un certo modo, perché questo accada).
- Il controllo degli effetti negativi dei picchi di insulina e la riduzione dell’impatto glicemico.
- La qualità dei cibi assunti.
In assenza di un’azione coordinata su questi tre importanti “regolatori dell’equilibrio adiposo” il solo movimento fisico può non essere di completa efficacia.
Un caso clinico
“Sono qui da lei perché con tutta la fatica che faccio non riesco assolutamente a perdere questa specie di rotolo addominale che mi angoscia l’esistenza” – così si esprimeva Paolo, 44 anni, dopo i primi scambi di generalità avvenuti in studio – “e mi irrita che i due amici che da due anni corrono con me, hanno modificato la loro struttura fisica in modo molto evidente, mentre io, dopo il primo iniziale calo di peso non vedo altre modifiche”.
Ci mettemmo a discutere dei diversi aspetti che possono interferire in questo problema. Se infatti è vero che per dimagrire è necessario stimolare il metabolismo attraverso molti dei principi che Paolo già metteva in pratica (prima colazione ricca, abbinamento corretto di carboidrati e proteine ad ogni pasto e prevalenza di cibi integrali, a basso indice glicemico) è anche vero che alcune particolari condizioni possono ostacolare l’aumento del metabolismo favorito dalla corretta alimentazione e dalla stessa attività fisica.
Il primo ostacolo, spiegai a Paolo, dipendeva dalla sua particolare condizione genetica.
Nella sua famiglia si potevano infatti contare patologie diabetiche e cardiovascolari nel padre, in alcuni tra zii e zie e in almeno due nonni. Insomma: molti dei suoi “avi” avevano fatto by-pass per recuperare gli infarti o soffrivano di ipertensione, obesità e diabete: tutte patologie legate alla cattiva gestione dell’insulina.
La predisposizione genetica non era certo a favore di Paolo. Gli spiegai che la corsa per lui rappresentava davvero l’“assicurazione sulla vita” più importante che avesse mai potuto stipulare. Ma, indubbiamente, l’effetto sul grasso doveva essere perfezionato.
Dopo avere escluso la presenza di uno squilibrio tiroideo, considerammo allora gli aspetti medici che potevano creare un intoppo alla perdita di grasso: la presenza di infiammazione, la carenza di alcuni minerali indispensabili per il corretto funzionamento dell’insulina e la necessità di aprire “le porte del grasso”.
Quando una persona ha una infiammazione da cibo significa che mangiando il cibo che ne è responsabile sviluppa nell’organismo una reazione infiammatoria che peggiora la corretta utilizzazione dei grassi. In termine tecnico si “riduce la sensibilità insulinica”, ma in pratica significa che l’organismo anziché trasformare un cibo in energia e calore, facilmente tende a trasformarlo in grasso e ad accumularlo nelle cellule adipose.
Riducendo l’infiammazione da cibo si mette l’organismo nelle condizioni migliori per funzionare e convertire massa grassa in muscolo.
Una persona sensibile al lievito che mangiasse del pane e formaggio (entrambi alimenti fermentati) potrebbe trattenere liquidi e accumulare grasso, mentre mangiando l’equivalente calorico in pasta con la panna (stessa base alimentare, ma senza fermentazione) potrebbe evitarne l’accumulo in grasso.
A Paolo chiesi di fare un test per la valutazione della infiammazione da cibo e di mettere in atto per un mese una dieta molto rigorosa nei confronti delle sostanze che sarebbero risultate coinvolte.
La sensibilità insulinica viene aumentata anche da alcuni minerali: in particolare Cromo e Magnesio. Alle persone che “fanno fatica” a perdere peso faccio spesso utilizzare dei minerali oxiprolinati di Cromo e di Magnesio e in moltissimi casi ne leggo in breve gli ottimi risultati.
Infine spiegai a Paolo che spesso alcune persone sono fisiologicamente legate al loro “grasso”, per cui la soluzione metabolica è quella di allungare la durata degli allenamenti aerobici per consentire all’organismo di trasformarsi in una “struttura dissipativa” in un organismo cioè talmente ricco di energia da avere solo il desiderio di trasformarla in energia e calore.
Paolo aveva un programma di allenamento interessante e vario, ma raramente si spingeva al di là dell’ora di attività.
Gli chiesi allora di prolungare almeno due (e talora tre) delle sue sedute di allenamento lento, fino ai 90-95 minuti di percorrenza.
Mi aspettavo di graduare i tre interventi in sequenza, ma Paolo, preso da “sacro fuoco”, mise in pratica insieme tutti e tre gli accorgimenti arrivando finalmente ad innescare il suo personale meccanismo di “consumo” e perdendo finalmente il “rotolone” che portava sull’addome.
Pari calorie, effetti diversi
Siamo dentro a una “forchetta” poco simpatica: se mangiamo poco, invece di dimagrire perdiamo muscolo e rallentiamo il nostro metabolismo. Ma se mangiamo il giusto non dimagriamo di un etto. Quindi?
La risposta è nell’affermare con forza che:
1) Un uguale numero di calorie consumato al mattino (quando prevalgono gli ormoni del consumo) o consumato alla sera (quando dominano gli ormoni anabolici) non ha lo stesso effetto.
2) A parità di calorie, consumare zuccheri a rapida assimilazione (bibite gassate, gelato, caffè zuccherato, farine raffinate, dolciumi, cioccolato) non ha lo stesso effetto rispetto a una uguale quantità di calorie assunte sotto forma di carboidrati completi (farine e cereali integrali, frutta, verdura), perché la risposta insulinica è differente e diverso è l’effetto sull’ingrassamento.
3) Un uguale numero di calorie “vuote” (zucchero bianco, farine 00, grassi idrogenati, oli raffinati) non ha lo stesso effetto rispetto a un equivalente assunzione di cibi sani, ancorché calorici, come il burro, le noci, il pane integrale, il formaggio, la carne, il pesce, le uova. A fine giornata, le calorie “vuote” ci lasceranno sempre “fame” di vitamine e di minerali, che dovremo saziare con nuovo cibo.
4) Un uguale numero di calorie assunto in assenza o in presenza di una frazione proteica non ha lo stesso effetto. Le proteine (nella giusta quantità, ovvero 0,83 g di proteine per kg di peso corporeo al giorno, come suggerisce l’OMS) hanno un effetto termogenico sul nostro metabolismo e stimolano la secrezione pancreatica di glucagone, ormone antagonista dell’insulina.
Tutte queste considerazioni devono farci riflettere sul fatto che l’ingrassamento e il dimagrimento dipendono solo in minima parte dal numero di calorie assunte.
La chiave di volta per ridurre i nostri accumuli adiposi è una sana attivazione del metabolismo basale (ottenibile con le poche regole appena indicate), abbinata ad una regolare (anche moderata) attività sportiva.
La sola attività sportiva, in assenza delle altre attenzioni qui riassunte, farà bene al nostro umore e alla nostra muscolatura, ma potrebbe non essere in grado di farci perdere grasso.
Non si tratta quindi di “stare a dieta”. Si tratta invece di attivarsi verso un nuovo stile di vita, imparando – per esempio – a leggere bene le etichette di ciò che scegliamo per nutrirci. Ed è sempre il momento per imparare a farlo.