Piramide alimentare da cambiare?
Uno degli esperimenti sociali più interessanti e controversi degli ultimi anni riguarda la dieta degli statunitensi. Il National Institute for Health americano ha rilevato che negli ultimi 9 anni il consumo per persona di grassi saturi e di colesterolo è diminuito come mai prima, mentre il peso medio dei giovani è cresciuto di circa 5 chilogrammi. In questo stesso ultimo decennio il numero degli obesi americani è cresciuto dal 25% della popolazione al 33%; se prima era obeso 1 americano su 4, oggi è obeso un americano su 3. Pur riducendo i grassi saturi e aumentando i carboidrati, come indicato dalla piramide alimentare americana (identica a quella italiana) vi è stato un pauroso incremento della obesità e delle malattie ad essa correlate, prima fra tutte il diabete. Forse c’è qualcosa che non va, tenendo comunque presente che la composizione della piramide alimentare viene decisa in parlamento (!), tenendo conto sia di interessi scientifici che commerciali.
Ogni essere biologico è unico, e anche in campo nutrizionale non sono possibili schemi dietetici assoluti e immutabili. I differenti bisogni di ciascuno possono inoltre mutare nel corso della vita. In molti casi lo schema della piramide alimentare oggi in voga (15% di grassi, 20% di proteine e 65% tra frutta, verdura e carboidrati complessi) può funzionare correttamente, soprattutto in chi stia iniziando a disintossicarsi da una alimentazione altamente industrializzata; per altre persone la ripetizione nel tempo di questo schema può determinare un accumulo di grasso e la alterazione del controllo degli zuccheri. Di recente il fisiologo americano Barry Sears ha proposto una piramide alimentare le cui proporzioni sono 40% delle calorie dai carboidrati, 30% dalle proteine e 30% dai grassi, portando a testimonianza della efficacia di questo tipo di alimentazione numerose ricerche scientifiche recentissime.
Pensate a 5-6 ore di perfetta efficienza fisica e mentale (senza sonno e senza fame) successive ad un pasto; questo avviene se insulina e glucagone (ormoni che regolano assorbimento e utilizzazione di zuccheri e grassi) sono in perfetto equilibrio. Non tutti i carboidrati sono uguali nel fare crescere il livello di zucchero nel sangue. Il fruttosio ad esempio viene assorbito molto lentamente e l’organismo risponde con una scarsa produzione di insulina. Il riso, il pane, la pasta non integrale e il saccarosio, vengono invece assorbiti molto più rapidamente e determinano una importante risposta insulinica. Si dice che il fruttosio ha un basso indice glicemico (come molte verdure), mentre pasta pane miele e zucchero hanno un elevato indice glicemico. Per valutare un dettaglio dei cibi con il loro indice glicemico potete cliccare su Indice glicemico e visitare le pagine web che ne trattano.
Con molti zuccheri in circolo l’organismo produce molta insulina, e li trasforma rapidamente in tessuto grasso. Il calo rapido della glicemia determina fame di dolci o di altri carboidrati e il circolo può continuare senza fine. Ci sono però alcuni trucchi per rallentare l’assorbimento degli zuccheri: aumentare la quota di fibra (la pasta integrale ha ad esempio un assorbimento molto più lento della pasta raffinata), e associare l’uso dei carboidrati e delle proteine. Un gelato alla fine di un pasto proteico fa crescere la glicemia molto meno di un dolce mangiato a stomaco vuoto. Se le calorie delle proteine e dei carboidrati sono in rapporto di 30 contro 40, la produzione di insulina è ottimale, e il dr. Sears ha chiamato questo rapporto “Zona”. Si è visto che fuori dalla “zona” si formano sostanze (tecnicamente Eicosanoidi) che facilitano l’infiammazione, la produzione di radicali liberi e la degenerazione cellulare. In “Zona” si formano invece in maggioranza Eicosanoidi “buoni”.
Con questa dieta si mangiano più proteine, limitando i grassi saturi (carne rossa e formaggi) a favore di pesce, leguminose e carni bianche, ma i pasti sono meno abbondanti. Un pasto ben fatto, evita che si ripresenti la fame per almeno 5-6 ore, e facilita numerose risposte organiche come la resa muscolare (per gli sportivi), la regolazione degli zuccheri e dei grassi (diabete, ipercolesterolemia), e la riduzione della massa grassa dell’organismo. Latte, cereali e biscotti al mattino porterebbero ad un eccesso di carboidrati, mentre lo yogurt senza altre aggiunte costituisce una perfetta prima colazione in “zona”; Verdure, pesce, un pugno di riso e 2 olive (sembra di essere in Grecia sul Mediterraneo) sarebbero perfettamente in “zona”, mentre il classico panino a pranzo determina un eccesso di carboidrati (e la fame 2 ore dopo).
Metà della popolazione è molto sensibile alla insulina, e un eccesso di carboidrati ne può determinare l’ingrassamento. Il fortunato 30% della popolazione non eccessivamente sensibile all’insulina può mangiarne in abbondanza. Come sempre quindi, ogni persona deve definire la sua dieta personale. La “Zona” può giovare molto ai diabetici, agli sportivi, ai malati cardiologici e a coloro che ingrassano nonostante una dieta caloricamente equilibrata. Applicare la “Zona” non è facilissimo, ma il fatto che il primo libro di Barry Sears, originariamente per medici, sia diventato un best seller in USA tra la popolazione generale, dà conto degli effetti positivi che possono essere raggiunti in molti casi.