Snack e merendine per diventare grassi
Consumo di snacks e obesità crescono nel mondo in modo proporzionale. In questi giorni sono stati pubblicati i dati relativi alle abitudini alimentari degli adolescenti americani.
La crescita della epidemia di obesità che sta colpendo gli USA giustifica la preoccupazione con cui si guardano questi dati. Al di là del problema personale esiste anche un problema sociale legato all’aumento incredibile di costi necessari per le cure delle malattie connesse alla obesità malata.
In Italia la situazione non è molto diversa. Il consumo di merendine e di snack è in continua crescita ed è stimolato da pubblicità e messaggi che possono creare talvolta confusione.
L’articolo sulle abitudini alimentari USA (Prev Med 2001 Apr;32(4):303-10) ha confrontato i dati del periodo 77-78 con quelli del periodo 94-96 con queste evidenze:
- le persone che mangiano snack e merendine sono cresciute dal 77% all’84%;
- la percentuale di calorie fornite dagli snack è passata dal 20% al 23% della quantità giornaliera introdotta;
- le calorie introdotte col singolo snack sono cresciute del 26%;
- le calorie per grammo di snack sono mediamente cresciute del 30%;
- la percentuale di snack salati (patatine ad esempio) è raddoppiata;
- bibite dolcificate e alcolici rimangono importanti fonti di introduzione calorica.
Il dato sugli snack salati è importante perché oggi si sa che un elevato apporto di sale favorisce la eccessiva crescita del livello di insulina e quindi lo stoccaggio degli zuccheri come grasso.
Un secondo importante articolo (Prev Med 2001 Mar;32(3):245-54) già dal mese precedente aveva evidenziato la problematica dei grassi nascosti in snack e merendine. La gente pensa che le merendine siano dolci, mentre sono invece anche molto ricche di grassi.
La pubblicità che presenta come sana e utile una determinata confezione per la colazione del mattino, diventa fuorviante quando il messaggio di positività che la caratterizza viene recepito anche per i “fuori pasto” della giornata.
La nostra posizione è che la parte pulsionale e viva della alimentazione deve potere gioire di alcuni cibi “pasticciati” purché questo non sia quotidiano, e avvenga nel contesto di abitudini di vita che prevedano attività fisica e periodi di “pulizia” dell’organismo.