Gli italiani e il vino: più qualità, più salute
Momento centrale per l’enologia italiana, Vinitaly – in corso in questi giorni nella consueta sede veronese – è anche una cornice ideale per capire come sia cambiato il rapporto dei consumatori con il vino, elemento di punta tra i prodotti agricoli del nostro paese. Proprio questo è il tema di una tavola rotonda che, oggi alle 15, illustrerà una panoramica su Tradizione, evoluzione o rivoluzione: come cambia il vino. In quell’ambito sarà discussa la ricerca “Vino Futuri Possibili”, realizzata in collaborazione con Duepuntozero Research e le testate Food, Retail e Agricoltura del . L’indagine – presentata da Marilena Colussi, sociologa nel campo delle tendenze alimentari e sociali – metterà insieme i risultati raccolti su due territori diversi: uno è Vinitaly stesso, con domande rivolte ai visitatori in questi giorni; l’altro è il web, con un panel di 500 utenti. A commentarli saranno esperti ed enologi di settore.
Colussi ha presentato anche un’altra ricerca: “Il comportamento di acquisto e consumo di vino nella Gdo” , di cui è autrice e direttrice in collaborazione con la società di ricerche di mercato C.R.A., e dalla quale è possibile trarre indicazioni interessanti anche sul piano del benessere alimentare. “Volendo sintetizzare, possiamo dire che il vino si compra al supermercato”, spiega la sociologa. “Per il 53% di chi fa la spesa, è quello il luogo di acquisto principale; e il 73% almeno una volta nella vita ha comprato vino nella grande distribuzione organizzata. Ma questo non significa disattenzione del pubblico per la qualità. Anzi, dalla nostra analisi emerge un’esigenza di informazione molto specifica e approfondita sul prodotto che si acquista”.
Le esigenze sono anzitutto di natura pratica: il consumatore chiede di ricevere un quadro chiaro per orientarsi in un mondo oggettivamente molto vasto, a cominciare dalla collocazione sugli scaffali. Dividere in sezioni i bianchi e i rossi è un bisogno quasi elementare, così come lo è la distinzione per tipologia (fermi, mossi, aromatici, etc). Già più interessante è il desiderio del consumatore di avere informazioni precise sulla provenienza del prodotto: territorio (Franciacorta, Chianti) o regione sono elementi utili nella valutazione della qualità di ciò che si beve, al pari del vitigno. Con riflessi immediati sull’idea di salute legata al consumo di vino.
“Il dato interessante a riguardo è un 11%: tanti sono, infatti, coloro che ritengono essenziale sapere se si tratti di uva coltivata biologicamente o in modo tradizionale, se con metodi ecosostenibili, o che chiedono lumi sugli aspetti nutrizionali quali le calorie e i nutrienti”, prosegue Colussi. “Nelle precedenti indagini questi elementi non emergevano, e ciò indica un elemento di novità importante nel rapporto tra gli italiani e il vino. Un rapporto incentrato sulla qualità: vent’anni fa a bere vino a tavola era l’80% dei consumatori; oggi è il 64%. Il calo è indice di una maggior attenzione alla scelta e di ricerca di maggior qualità, elementi espressi da un altro dato: il 75% è attento al territorio e alla zona di produzione, perché vi vede anche un punto di comprensione dell’aspetto legato alla salute”.
Secondo l’indagine, gli italiani cercano infatti vini più bevibili e leggeri (il 55%) rispetto a qualche anno fa. I corposi, gli strutturati e quelli con gradazione importante sono visti come meno funzionali agli stili di vita contemporanei, “che evidenziano attenzione anche per le bottiglie più piccole, da 37,5 o 50 cl, e per i luoghi in cui si serve al calice – precisa Colussi –. Il vino è legato a un momento di convivialità sana, di compagnia; c’è poco consumo solitario, o peggio in chiave antidepressiva”.
C’è, soprattutto, l’idea che bere vino possa far bene: “Il 62% dice che il consumo moderato ha effetti benefici sull’organismo. Questo è un dato importante, soprattutto se legato all’idea che non ci sia una distinzione tra il rosso e il bianco, dove il primo è considerato più sano del secondo. Insomma, conta che tutto il vino sia fatto bene. Ciò può essere un fattore di sviluppo importante – conclude Colussi -, perché può spingere i produttori di bianchi a innovazioni che abbattano i solfiti, o a metodi agricoli che portino un plus salutistico. Cosa che, tra l’altro, già sta accadendo”.