Dieta dei gruppi sanguigni: quando l’ignoranza scientifica diventa prassi
Ogni medico e ogni nutrizionista, a qualsiasi livello, dovrebbe porsi alcune domande di fronte ad un fenomeno ormai diffuso come la dieta dei gruppi sanguigni, relativa ad un ipotetico legame appunto tra gruppo sanguigno, assimilazione e metabolismo.
È indispensabile rispondere in modo documentato, facendo riferimento ai lavori internazionali di cui discuterò oltre, per capire dove sta la verità scientifica, perché quel tipo di dieta ha un temporaneo successo tra il pubblico e quali siano gli strafalcioni concettuali su cui si basa.
Non ci sono lavori scientifici ufficiali che dimostrino un legame tra gruppi sanguigni intesi come gruppo A, B, AB o 0 e sviluppo di determinate malattie. Sono molti i ricercatori che hanno lavorato su questo argomento, ma finora non è emersa alcuna associazione degna di nota.
Se proprio vogliamo cercare differenze, queste potrebbero riguardare il fatto che una persona sia o meno “secretore”, ovvero che siano presenti nel suo sangue gli antigeni specifici del suo gruppo sanguigno, ma è un aspetto che non viene in genere preso in considerazione da chi propone queste diete.
L’idea di scegliere un alimento sulla base del proprio gruppo sanguigno si basa sul fatto che gli individui reagiscono in modo diverso alle diverse molecole presenti nei cibi, ma questo tipo di affermazione non è supportata da alcuno studio scientifico.
Lo strafalcione scientifico proposto da queste diete è dovuto al fatto che la razza umana mantiene la sua variabilità genetica e la diversità anche tra i fratelli, grazie alla ricombinazione meiotica, cioè quel momento in cui la doppia elica dei cromosomi miscela in modo del tutto casuale l’informazione genetica che arriva dalla madre e quella che arriva dal padre per arrivare a costruire gameti con combinazioni alleliche diverse da quelle dei genitori.
È una affermazione scientifica che meglio tradotta “in pratica” significa che prima di mettere materiale genetico in ovuli e spermatozoi, ogni essere umano “ricombina” le proprie catene di geni in modo che il risultato non abbia similitudini possibili con altri. Il naso un po’ storto potrà essere associato con gli occhi chiari in un caso, ma nell’altro questa associazione mancherà del tutto. E questo vale per tutte le possibili associazioni genetiche.
La frequenza di ricombinazione e le sue leggi sono perfettamente studiate da lunghissimo tempo (il Nobel per la Medicina del 1933 fu assegnato al genetista e biologo statunitense Thomas Hunt Morgan per i suoi studi su questo aspetto) e l’unità di misura della ricombinazione è funzione del centiMorgan, che è la distanza tra diversi geni che rende conto della loro possibile ricombinazione.
Sono regole attualissime che consentono anche oggi di verificare ad esempio paternità, maternità e grado di omologia di un DNA in modo molto preciso grazie proprio alla regola dell’assortimento indipendente, uno dei capisaldi della genetica e della biologia.
Per fortuna quindi, non esiste connessione tra gruppo sanguigno e reazione ad alcuni alimenti e ogni individuo potrebbe, indipendentemente dal gruppo sanguigno di appartenenza, avere il colore degli occhi della madre, una predisposizione genetica per la reattività al glutine piuttosto che al riso e la forma del naso della zia.
Un dato interessantissimo è che la possibile connessione tra gruppo sanguigno e specifiche malattie è stata studiata anche da molti altri ricercatori, identificando solo alcune possibili controverse correlazioni.
Per un certo periodo, ad esempio, si è detto che la popolazione del Perù era stata particolarmente colpita da una epidemia di colera a causa della elevata presenza di persone di Gruppo 0, ma dal 2010, Ramamurthy ha definito che questa relazione non è vera e che la risposta alla tossina colerica dipende da altre varianti, avendo documentato, nello stesso Gruppo 0, delle risposte diverse alla tossina in relazione alle diverse regioni geografiche di misurazione (Ramamurthy T et al, Clin Vaccine Immunol. 2010 Aug;17(8):1232-7).
I due massimi “promotori” della dieta dei gruppi sanguigni (D’Adamo e Mozzi) non sono certo stati gli unici che abbiano studiato la relazione tra gruppo sanguigno e malattie.
Colpisce però l’assenza di qualsiasi lavoro scientifico proposto da questi due autori, se si cerca negli indici della banca dati internazionale “Medline“, ma soprattutto colpisce il fatto che molte malattie sono state studiate in relazione al gruppo sanguigno scoprendo poi che la vera determinante che caratterizza una diversità nella risposta è che la persona abbia o non abbia la determinante H, cioè se sia o meno un “secretore” del Gruppo, anche a livello delle mucose.
Sembra logico, perché evidenzia una reazione diretta tra la mucosa dove avviene l’incontro con un batterio o un virus e una sua particolare configurazione. Eppure nessuno dei due autori parla mai, o ha mai parlato o scritto, di questa particolare caratteristica che è strettamente associata al gruppo sanguigno e che sembra l’unica con una reale documentazione scientifica.
Ebbene i tassi di infezione da HIV sono più elevati nei “secretori” (80% della popolazione) piuttosto che nei “non secretori” (20% della popolazione) senza alcuna correlazione significativa per la differenza tra i gruppi sanguigni, come documentato da Chanzu (Chanzu NM et al, PLoS One. 2015 Jul 17;10(7):e0133049. doi: 10.1371/journal.pone.0133049. eCollection 2015).
Per l’infezione da Helicobacter pylori avviene invece l’opposto, come descritto da Ansari (Ansari SA et al, Trop Med Int Health. 2015 Jan;20(1):115-9. doi: 10.1111/tmi.12401. Epub 2014 Oct 16), che ha evidenziato maggiore reazione duodenale nei soggetti “non secretori” rispetto ai “secretori”, ma sempre e solo relativamente a questa caratteristica, mentre nessuna differenza significativa si è vista rispetto al gruppo sanguigno AB0.
Purtroppo invece, in molte pubblicazioni sulle diete dei gruppi sanguigni si leggono indicazioni acritiche di strette correlazioni tra tipi di malattia e Gruppo, che non possono avere ovviamente nessuno scopo scientifico e su cui vale la pena interrogarsi.
Sul piano medico e motivazionale si devono invece fare due considerazioni positive, che traggono spunto dal perché nel breve termine le indicazioni nutrizionali di questi tipi di “dieta” hanno un relativo successo di pubblico.
Una saggia riflessione su questi aspetti potrebbe aiutare qualsiasi medico a rendere migliore l’aderenza dietetica dei propri pazienti.
La definizione di “Gruppo” è vissuta dal paziente come una caratteristica di “individualizzazione”. Poco importa se quello che è poi asserito sia vero o sia falso. Per molte persone che devono cambiare il loro stile di vita e la loro alimentazione, il fatto di sentirsi “catalogati in modo personalizzato”, consente “finalmente” di motivare scelte dietetiche che non sarebbero fatte se fossero solo per un “benessere” generico adatto a tutti.
Il secondo aspetto è che nella realtà italiana e statunitense esiste in questo momento un abuso di latticini e di alcuni cereali (in particolare quelli contenenti glutine). Senza alcuna motivazione scientifica, le indicazioni di queste diete vanno però a richiedere proprio l’eliminazione o il controllo dei cibi maggiormente responsabili di infiammazione correlata al cibo tra la popolazione media.
Il benessere che deriva da una dieta di questo tipo è legato al controllo delle reazioni alimentari statisticamente più frequenti nella popolazione italiana, e non dipende certo dalla appartenenza ad un gruppo sanguigno o all’altro (come tra l’altro ribadito anche in una recente intervista pubblicata su Dica 33).
Su Eurosalus abbiamo discusso i lavori di Cai, che ha dimostrato con chiarezza che due malattie come la Colite Ulcerativa e il Morbo di Crohn sono strettamente legate, in Europa, alla reazione a Latte, Glutine e Lieviti, mentre in Cina a Riso, Soia e Mais.
Non dipende dal Gruppo AB0, ma dalle abitudini locoregionali che rendono statisticamente significativa la reazione ad un alimento piuttosto che un altro.
Ci sarebbe molto altro da dire, soprattutto per entrare in contraddittorio su asserzioni che, oltre che prive di qualsiasi supporto scientifico, potrebbero diventare pericolose se applicate su larga scala.
Basti citare il tendenziale stimolo all’assunzione prevalente della carne, a dispetto delle valutazioni più recenti dell’OMS e la promozione di una dieta che ha molto poco di “Mediterraneo” a dispetto delle indicazioni internazionali di supporto.
Importante è che ogni medico capisca la base reale delle affermazioni che sono fatte e sappia dare un taglio preciso ad affermazioni e comportamenti in cui viene proposta una finta scienza che camuffa da “verità” delle semplici caratteristiche di prevalenza locoregionale delle abitudini alimentari.