Il gusto dolce che ingrassa, anche a zero calorie
È il segnale dolce quello che porta all’ingrassamento.
Basta il solo gusto dolce, anche a zero calorie o a calorie ridotte, per scatenare nell’organismo delle risposte che portano alla riduzione del consumo e alla deposizione delle calorie ingerite nel tessuto adiposo.
Che si tratti di zucchero bianco, di zucchero di canna, di stevia, di dolcificanti artificiali, di fruttosio, di xilitolo o di qualsiasi altro tipo di dolcificante, la dolcificazione fine a se stessa (anche il “solo mezzo cucchiaino…”) non fa che attivare comunque quei segnali metabolici che portano all’accumulo di grasso.
Il grande mercato della dolcificazione (come quello dei chewing-gum o delle caramelle) è in fermento da tempo e questi dati stanno creando lotte importanti tra i produttori di soft drink e chi cerca invece di salvaguardare la salute pubblica.
I lavori che correlano l’obesità degli adolescenti con l’uso di semplici bevande dolcificate sono sempre più frequenti e documentati, ma da parte delle aziende si assiste alla contrapposizione di dati che assomigliano a quelli che le aziende produttrici di sigarette proponevano anni fa per cercare di difendere il fumo come “salutare e benefico” o almeno come non dannoso.
Chi si occupa dei segnali di comunicazione dei sistemi biologici, di diete di segnale e di messaggi infiammatori ha potuto vedere confermato negli ultimi anni che il gusto dolce ha una serie di effetti sull’organismo ormai molto ben definiti. Riesce infatti ad indurre infiammazione, a creare dipendenza, e a stimolare l’accumulo di grasso attraverso l’induzione di resistenza insulinica.
Il gusto dolce attiva nell’organismo delle risposte precise, arrivando persino a determinare ingrassamento anche in assenza di calorie, come di recente è stato scoperto per i dolcificanti artificiali. Questo è legato alla percezione del gusto, al segnale che la sostanza dolce manda all’organismo, indipendentemente dalla presenza o meno di nutrimento affiancato al gusto.
Una volta riconosciuta l’esistenza in tutto il tratto intestinale (dalla bocca all’intestino crasso) di recettori per il gusto dolce si è iniziato a capire che questi recepiscono il gusto dolce, non necessariamente il contenuto calorico o la densità energetica di quello che viene introdotto, e che i recettori, una volta stimolati, inducono delle risposte di regolazione del metabolismo.
Uno studio francese, pubblicato sul Current Opinion in Clinical Nutrition and Metabolic Care, ha definito in modo preciso che il gusto dolce è sicuramante coinvolto nella percezione sensoriale a livello orale, ma è presente ed espresso anche in molti tessuti che non c’entrano nulla con il gusto consapevole perché regolano metabolismo e processi di accumulo adiposo (Laffitte A et al, Curr Opin Clin Nutr Metab Care. 2014 Jul;17(4):379-85. doi: 10.1097/MCO.0000000000000058).
Su PLoS One è stata documentata anche l’azione sul cervello e sul pancreas di differenti tipi di recettori extragustativi. La loro stimolazione non regola solo l’assunzione di zucchero, ma determina effetti su tutto l’organismo.
È un po’ come se ogni organismo avesse dei recettori specifici per il gusto dolce, sparsi dovunque, nei muscoli come nel fegato, pronti a dire all’organismo cosa fare, come se la persona avesse davvero mangiato dello zucchero, cioè stivarlo nei depositi di grasso.
Questo era stato già dimostrato in relazione ai dolcificanti artificiali che possono indurre ingrassamento.
Lo studio statunitense pubblicato nel 2013 su Diabetes Care ha spiegato in dettaglio il fatto che l’assunzione di un dolcificante ipocalorico induce, nel pasto successivo, di solito cercato ricco di zucchero, degli effetti di aumento dell’assorbimento del glucosio (Pepino MY et al, Diabetes Care. 2013 Apr 30. [Epub ahead of print] – qui versione integrale). Un po’ come se il corpo si “vendicasse” delle calorie che non ha visto.
Il problema riguarda anche il fruttosio. Un frutto ricco di fibra ha un contenuto di fruttosio bilanciato e un indice glicemico spesso basso. Un concentrato di succo di mela o di uva (come spesso viene fatta passare la dolcificazione dipingendola come “naturale”) porta alla fine agli stessi effetti aggiuntivi della dolcificazione fine a se stessa.
Imparare a rimangiare uno yogurt così come è stato fatto in origine, magari tagliandovi dentro dei pezzi di frutta, può trasformarsi in una abitudine vincente.
Si tratta quindi di una azione che parte dai recettori gustativi, legata a un riflesso condizionato antico, ormai radicato dall’evoluzione attraverso i milioni di anni, che induce risposte metaboliche spesso dannose. Si tratta di risposte che nel Paleolitico erano positive, ma che oggi possono diventare devastanti.
Dal punto di vista logico questo rappresenta un passo avanti verso la comprensione sempre più intensa del modo in cui funziona l’essere umano. Non solo attraverso grammi di zucchero o equivalenti calorici, ma anche attraverso la semplice percezione di segnali, quelli che vengono raccolti o lanciati ogni giorno perché ogni essere vivente possa conquistare e mantenere il proprio benessere.
In pratica
Sosteniamo che per chi deve perdere peso, l’uso della dolcificazione sia da bandire sistematicamente per la pericolosità dei segnali di ingrassamento che vengono dati all’organismo, ben riconoscendo che un dolce ben fatto può esprimere una coccola emotiva che gratifica lo spirito e la mente, soprattutto se è inserito nel contesto di un momento di piacere alimentare di cui noi difendiamo il significato.
La storia e la cultura recente ci hanno insegnato che in una vita sana, ricca di attività fisica e di cibi di ottima qualità, il dolce può essere presente e fare bene la sua parte.
Nei nostri percorsi terapeutici per il sovrappeso, aiutiamo gradualmente le persone ad abbandonare la dolcificazione inutile, e insegniamo a preparare dolci gustosi da usare nelle occasioni giuste. Per la forma e il benessere.