La variabilità glicemica. Quei picchi di zuccheri che fanno male
I picchi glicemici dipendono dalla assunzione di tutti i tipi di zuccheri. Che si tratti di glucosio o di fruttosio (proprio quello presente anche nella frutta e nel miele) o di polioli (eritritolo, maltitolo e tanti altri) o di alcol (che viene metabolizzato attraverso la stessa via del fruttosio) fa poca differenza. L’effetto finale è un picco di valori zuccherini che provocano la glicazione di enzimi, proteine, DNA e altre strutture organiche provocando dei danni molto precisi.
Un articolo molto dettagliato, pubblicato su Eurosalus con il titolo “Zuccheri semplici, invisibili, nascosti. Dove si trovano e come controllarli” può aiutare chiunque a confrontarsi con la propria alimentazione.
Le sostanze che provocano la glicazione sono chiamate scientificamente “glicotossine” e tra queste troviamo ad esempio il metilgliossale o la HMGB1.
Quando i valori glicemici riescono a mantenersi stabili, anche se sono slivellati verso l’alto come accade nel diabetico, la variabilità glicemica non è molto elevata e i fenomeni di glicazione sono sufficientemente controllati.
Quando invece la assunzione alimentare provoca dei picchi anomali, si assiste ad una fluttuazione di valori che la scienza ha definito appunto come “variabilità glicemica” e che risulta essere una delle più rilevanti cause di malattia e di mortalità.
In passato, la definizione di variabilità glicemica è stata molto generica, analizzando a volte le oscillazioni della glicemia a digiuno, a volte i picchi glicemici post-prandiali o la variazione nel tempo della emoglobina glicata.
Oggi invece la definizione corretta si riferisce alla misurazione di ampiezza, frequenza e durata delle fluttuazioni del glucosio durante le 24 ore, misurate attraverso i sensori di nuova generazione definiti come CGM (Continuous Glucose Monitor) o SMBG (Self Monitored Blood Glucose). Si tratta di apparecchiature dotate di sensori specifici da applicare sulla pelle e oggi utilizzate solo in alcuni ambiti di terapia del diabete (già identificato) o in ambiti di ricerca clinica e farmacologica.
Eppure, fin dal 2005 un articolo pubblicato su Clinical Biochemistry ha definito proprio il Metilgliossale (MGO) come indicatore delle fluttuazioni e della variabilità glicemica.
Si tratta della stessa sostanza che il nostro gruppo di ricerca ha identificato come “early predictor” del diabete gestazionale e quindi, vista la analogia, come possibile indicatore dei danni pre-esistenti al diabete e purtroppo non riconosciuti dalla emoglobina glicata e dalla glicemia a digiuno che sono utilissimi per seguire e valutare il diabete già riconosciuto, ma non per identificare e intercettare il prediabete.
La buona notizia, quindi, è che si possono misurare alcuni biomarcatori (come metilgliossale e albumina glicata) e si possono poi prendere i giusti provvedimenti di controllo per evitare gli effetti della fluttuazione glicemica e dei picchi zuccherini.
Conoscere le proprie caratteristiche metaboliche, infiammatorie e genetiche consente di godersi anche dei cibi dolci senza troppi allarmismi. Per questo motivo, misurare eventuali danni da zucchero in modo preciso è sicuramente meglio che supporre. Test come il Glyco Test o il PerMè consentono di identificare eventuali eccessi individuali di zuccheri e impostare una dieta personalizzata, con la giusta varietà alimentare (dolci compresi!).
Diversi studi hanno identificato nella variabilità glicemica un fattore di rischio indipendente per le complicanze croniche del diabete, soprattutto cardiovascolari, oltre che per le funzioni cognitive e la qualità di vita. Abbiamo pubblicato di recente un articolo sul rapporto tra glicazione, Alzheimer e neurodegenerazione.
In studi prospettici e trials clinici la variabilità glicemica è risultata predittiva anche della risposta connessa alla ipoglicemia reattiva, mentre per persone ricoverate in terapia intensiva, la variabilità glicemica è risultata predittiva di una più elevata mortalità.
L’obiettivo è sicuramente quello della prevenzione del diabete ma si affianca a quello della riduzione della mortalità da tutte le cause in modo molto preciso. Una ricerca pubblicata nel Novembre 2021 sul Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism ha spiegato con chiarezza che la variabilità glicemica, cioè le fluttuazioni di glicemia, sono altamente correlate con la mortalità da tutte le cause, in modo del tutto indipendente dai valori di emoglobina glicata.
In pratica, anche con valori di emoglobina glicata perfetti, la mortalità da tutte le cause è correlata e proporzionale ai valori della emoglobina glicata. Quando invece, pur con valori di emoglobina glicata corretta, la glicemia ha una variabilità importante, causata dai picchi di zuccheri, si può evidenziare un aumento molto intenso della mortalità da tutte le cause.
Significa che l’attenzione nutrizionale alla propria glicazione e agli effetti metabolici della infiammazione da alimenti consente a chiunque di fare scelte consapevoli che senza rinunciare a nulla aiutano a riconquistare il benessere e a mantenere la propria salute.