Dolcificare cibi e bevande: un piacere evitabile che porta ansia e depressione
Uno dei principali motivi per cui le sostanze dolcificate (cibi o bevande che siano) interferiscono sull’umore e sullo stato emotivo è la oscillazione della sensazione energetica che queste danno all’organismo.
Il benessere “da dolce” è temporaneo e determina, nella maggior parte di casi, un rapido ritorno alla percezione di assenza di energia, causata in particolare dalla ipoglicemia che ne deriva. Facile pensare che questa alternanza di “su e giù” dell’energia possa accentuare un senso di insicurezza complessivo, favorendo la comparsa di ansia e agitazione.
Per un certo periodo di tempo si è pensato che questo aspetto dipendesse dalla presenza di calorie facilmente disponibili e sono nati i dolcificanti artificiali, con gusto dolce ma contenuto calorico ridotto o azzerato.
Sono stati a lungo considerati privi di rischi, ma purtroppo non è così. E non si parla solo di possibile tossicità diretta dei dolcificanti ma del fatto che generano fondamentalmente le stesse risposte dello zucchero (bianco, di canna o di qualsiasi altro aspetto possibile).
Basta citare la discussione in corso da decenni sull’aspartame (uno dei più noti e antichi dolcificanti artificiali), discussa da Eurosalus in numerosi articoli fin dai primi anni del 2000, e le acquisizioni sul possibile effetto diabetogeno e ingrassante dei dolcificanti, che è indipendente dalla percezione del gusto dolce. Riducono infatti l’azione del GLP1, lo stesso ormone per cui tutti oggi “vanno pazzi” cercando costosissimi prodotti dimagranti a base di analoghi dello stesso GLP1 e magari continuando a ingurgitare bevande “a zero calorie”.
Quindi se il GLP1 fa dimagrire, i dolcificanti riescono a bloccarlo. Una bella contraddizione… E vale anche la pena di discutere delle azioni di un prodotto dolcificante come l’eritritolo (usato in moltissimi prodotti di uso comune) che è stato recentemente identificato come possibile facilitatore di malattie cardiovascolari. Merendine e dolci industriali ne sono spesso pieni.
Quasi tutte queste sostanze dolcificanti sono dei polioli (cioè degli alcol) e vengono metabolizzati dell’organismo attraverso la stessa via del fruttosio determinando effetti dannosi in tutto simili a quelli provocati dall’eccesso di fruttosio. Ricordiamo che il fruttosio (quello stesso contenuto nella frutta) rappresenta la metà del saccarosio (lo zucchero che si usa per i dolci tradizionali). Non alza immediatamente la glicemia, ma in eccesso, determina tutti gli effetti potenzialmente dannosi dovuti alla glicazione.
Una ricerca pubblicata in dicembre 2022 sui Proceedings of the National Academy of Sciences ha evidenziato in modelli animali che la somministrazione di dolcificanti artificiali non solo attiva direttamente dei comportamenti tipici dell’ansia e modifica l’equilibrio di numerosi neurtotrasmettitori ma che questo avviene per dosaggi anche molto bassi. Inoltre, questo stesso tipo di risposta ansiosa veniva trasmesso, grazie anche alla attivazione di specifici geni che agiscono nell’amigdala, alla generazione successiva, cioè ai figli che quel dolcificante non hanno mai toccato.
Su Eurosalus (“La dieta delle nonne influisce sulle allergie dei nipoti”), abbiamo discusso delle evidenze scientifiche per le quali anche l’alimentazione delle “nonne” può contribuire a determinare specifici effetti addirittura nei nipoti, quindi questo aspetto non ci stupisce. Stupisce invece il dosaggio di dolcificante a cui questo è avvenuto.
Nelle parole degli stessi ricercatori statunitensi, nessuno se lo sarebbe aspettato, soprattutto per l’azione indotta da un dosaggio di dolcificante che rapportato all’essere umano è inferiore al 15% del dosaggio che, nell’uomo, viene considerato il livello di sicurezza. Quindi un dosaggio anche molto baso di dolcificante può determinare effetti di questo tipo.
Ne parliamo anche oggi perché da anni il nostro gruppo di ricerca (GEK Lab) studia gli effetti degli zuccheri, della glicazione e della dolcificazione nelle diverse patologie. Quindi siamo molto ricettivi ed attenti a tutti gli studi che riguardano questi temi per migliorare prevenzione e cura dei numerosi disturbi e patologie correlati con la dolcificazione e con gli zuccheri.
Un gruppo di ricercatori australiani ha analizzato invece nella popolazione generale (non più animali quindi) l’effetto di attivazione della depressione dovuto al consumo di alimenti ultra processati o ultra raffinati (UPF) pubblicando nel giugno 2022 su Nutrients i risultati del loro studio.
Il maggiore utilizzo di prodotti super raffinati (fino al 76% della alimentazione usuale) è proporzionale al l’aumento di ansia e depressione. I risultati della loro meta-analisi hanno evidenziato che questa relazione (ricordiamo che i cibi super raffinati sono spessissimo dolcificati) è significativa anche per la sola ansia o per la sola depressione.
Questo non significa che non si deve assumere zucchero (o alcol o frutta o miele o dolci della nonna), ma che gli effetti individuali vanno misurati. Se, come nel mio caso personale, la genetica evidenzia una predisposizione diabetica, è necessario misurare con una certa frequenza i valori di Metilgliossale e di Albumina glicata (le stesse sostanze evidenziate dal test PerMè o dal Glyco Test) per capire se “individualmente” sto assumendo troppe sostanze dolci o dolcificate e se il mio organismo è in grado di smaltirle adeguatamente.
Per questo motivo, nel centro SMA in cui lavoro, tutto lo staff medico e nutrizionale personalizza comunque la nutrizione dei nostri pazienti in base ai livelli infiammatori alimentari e a quelli di glicazione per affrontare le condizioni di alterazione metabolica che non significano solo diabete e sovrappeso, ma anche ansia, depressione e stanchezza.