La nuova visione
Sono sempre più numerose le persone che presentano manifestazioni allergiche complesse, in cui i segnali di risposta ad allergeni differenti si sommano tra loro coinvolgendo tutti i sistemi e gli organi dell’organismo.
Definire una allergia o una ipersensibilità in questo momento di evoluzione scientifica non è quindi facile; si possono però delineare, almeno a grandi linee, le differenze essenziali tra un’allergia e un’intolleranza alimentare che, nella loro diversità, rappresentano pur sempre l’espressione della reattività dello stesso sistema immunologico. Le più recenti evoluzioni scientifiche arrivano a definire l’allergia come un segnale, e non più come una malattia.
Per comprendere fino in fondo una condizione allergica, dobbiamo chiederci perché la selezione naturale nel corso di migliaia di anni non ha favorito l’eliminazione e la scomparsa di quei geni che promuoverebbero la comparsa dei fenomeni allergici.
C’è una differenza fondamentale tra “difetto” e “difesa”, e per spiegarlo uso gli stessi esempi proposti da due dei più importanti studiosi mondiali di evoluzione applicata alla medicina: gli statunitensi R. M. Nesse e G. Williams, autori del testo “Nothing to sneeze at” (ovvero “Nulla contro cui starnutire”): un aneurisma cerebrale (cioè la dilatazione patologica di una delle arterie che nutrono il cervello) rappresenta sicuramente un difetto, e riuscire a prevenirlo o a eliminarlo rappresenta un sicuro vantaggio per l’organismo. Un colpo di tosse invece rappresenta in modo opposto un meccanismo di difesa, che consente ad esempio all’organismo di iniziare a espellere dalle vie aeree il corpuscolo o il moscerino che vi si sono infilati. È ovvio che la sedazione della tosse in questo caso porterebbe ad un danno, facilitando la persistenza del moscerino nei polmoni, e la comparsa di possibili reazioni. Mentre la correzione di un difetto è normalmente una cosa positiva, l’eliminazione di una difesa può diventare catastrofica per l’organismo.
Affrontando l’allergia dobbiamo capire se questa rappresenta una difesa (o un segnale di difesa), oppure un difetto.
La risposta a questa domanda ci può fare scegliere se usare a cuor leggero un antistaminico o un cortisonico, oppure se è necessario usarli con cautela, solo se necessari, cercando invece di riportare in equilibrio le risposte organiche attraverso l’uso di comportamenti vitali e alimentari diversi.
Ci sono poi alcuni altri studi recenti sul ruolo della ipersensibilità (realmente di ampio respiro filosofico) che confermano per i fenomeni allergici un ruolo di “difesa e di segnale”.
La teoria formulata da Polly Matzinger (“The danger theory”), è già diventata una certezza scientifica, e numerosi ricercatori hanno confermato quanto da lei proposto molti anni prima.
Le cellule del sistema immunitario non sono deputate solo a riconoscere sostanze estranee e diverse da noi stessi. La loro funzione principale è quella di creare tolleranza verso le sostanze (pollini, particelle, alimenti) che ci possono fare bene, e di reagire invece nei confronti di quelle che ci possono fare male.
In questo è coinvolta ovviamente anche la memoria di specie, quella che ci tramandiamo, nascosta da qualche parte dentro ai nostri cromosomi. Il sistema immunitario quindi, attraverso la sua reazione ci consente di distinguere in un certo senso tra il bene e il male, mantenendo in memoria anche certi tipi di esperienze vissute dai nostri progenitori.
La teoria formulata invece dalla biologa americana Margie Profet, vede l’utilità della produzione di IgE come ultimo baluardo difensivo, soprattutto per quanto riguarda le allergie respiratorie, che vada ad aggiungersi a tutte le difese precedentemente utilizzate.
La produzione e poi l’attivazione di anticorpi specifici come le IgE porterebbe infatti a tossire, lacrimare, starnutire, evacuare; si tratta di fenomeni come la tosse, l’asma, la diarrea allergica, la rinocongiuntivite, che potrebbero rappresentare il tentativo dell’organismo di eliminare possibili intrusi o sostanze tossiche presenti nell’organismo oppure qualcosa che viene “percepito” con le stesse caratteristiche.
Ma la parte innovativa della teoria della Profet evidenzia che la diversità di risposta che esiste tra le persone, sarebbe dovuta a una particolare caratterizzazione delle risposte immunitarie (il nome tecnico è “imprinting”) data proprio dal contatto con sostanze potenzialmente allergizzanti.
Secondo la Profet infatti (a spiegazione anche di molti dei fenomeni di cross-reattività che oggi si stanno scoprendo) i nostri linfociti recepiscono contemporaneamente lo stato interno dell’organismo e le sostanze che possiamo incontrare nel mondo esterno. E in realtà quando fanno questa lettura contemporanea creano una sorta di legame automatico tra una condizione e l’altra (un link).
È possibile ad esempio che una persona stia soffrendo per una gastroenterite (e l’organismo è quindi infiammato e intossicato), e contemporaneamente sulle sue mucose recepisca una sostanza “inerte” come un polline, la saliva di un gatto o un particolare cibo. A quel punto viene creato il legame tra le due condizioni, e sia che compaia l’una (la condizione di intossicazione) o l’altra (il polline), i linfociti scatenano comunque una reazione difensiva di tipo allergico o infiammatorio.
In pratica il linfocita, la cellula che guida il sistema immunitario ed è costantemente in contatto col sistema nervoso centrale, percepisce uno stato di pericolo (la gastroenterite) e si attiva per capire quali sono le sostanze presenti nell’ambiente che potrebbero giustificare questo pericolo.
Se riconosce appunto gli acari o i pollini presenti, che fino a quel momento non erano mai stati legati a eventi clinici di disagio, li identifica come possibili responsabili dello stato di malessere, e si predispone ad affrontarli adeguatamente nel momento del successivo incontro.
Questo infatti avviene in una fase successiva, in genere cioè (se consideriamo i pollini stagionali) dopo circa 1 anno dal primo incontro col polline. E quando avviene questa reazione successiva nei confronti del polline o dell’allergene animale, il meccanismo di espressione è lo stesso con cui l’organismo avrebbe reagito ad una particolare sostanza tossica o ad un intruso: cercando di espellerli.
Questo spiega in parte l’insorgenza di fenomeni di ipersensibilità in soggetti di età avanzata (un caso che oggi è sempre meno raro), in seguito a fenomeni tossici, a interventi chirurgici o a trattamenti farmacologici di rilievo, fatti questi riscontrabili sovente nella pratica clinica ma non ancora sufficientemente spiegati.
Gli stessi studi di Rita Levi Montalcini, che ha ottenuto il Nobel per la medicina nel 1986 per i suoi lavori sul NGF (Nerve Growth Factor), hanno documentato che questa sostanza “allergizzante” viene prodotta nell’organismo in risposta a situazioni emotive in cui viene messa in discussione la sopravvivenza delle proprie consuetudini vitali.
Come ha meravigliosamente spiegato a Berlino durante il congresso europeo di allergologia del 2001, in una lezione tenuta da 7 premi Nobel in contemporanea, l’organismo produce NGF quando passa attraverso situazioni in cui cambiano le proprie priorità vitali. Lei le ha chiamate situazioni di “Danger of Vitality”, citando ad esempio lutti, tradimenti, disamori, disillusioni, traslochi, mobbing od altre situazioni in cui l’organismo, inteso in senso olistico, non si riconosce più.
La citochina NGF determina un incredibile aumento della reattività allergologica, aumentando il livello di istamina circolante, e in modo direi quasi pittorico, la risposta allergica di una persona diventa evidente come quella di una luce di emergenza (rossori, orticaria, chiazze cutanee, dermatiti, ecc,) a testimoniare che questa è davvero il segnale di uno stato generale di squilibrio, complesso e articolato, e che questo segnale deve essere interpretato.