Uso di probiotici in caso di reazioni ai lieviti
Quando affrontiamo la cura di una infiammazione da cibo dovuta ai lieviti e alle sostanze fermentate (in SMA lo facciamo da anni attraverso specifici percorsi terapeutici) sappiamo di potere utilizzare dei precisi schemi di dieta e degli integratori utili per il controllo dell’infiammazione e il recupero della tolleranza.
I probiotici (che molti chiamano semplicemente “fermenti lattici”) sono tra gli integratori che potrebbero essere utilizzati, ma spesso nella prima fase di alimentazione guidata è necessario gestire la loro assunzione con una certa cautela.
I motivi di questa cautela diventeranno molto chiari progredendo nella lettura.
Nel caso di una reazione ai lieviti, le indicazioni che vengono date all’interno di RecallerProgram rispetto ai probiotici sono queste: «È possibile che in una prima fase l’uso di probiotici possa essere controindicato (consentendone l’uso nei giorni di libertà alimentare), salvo una specifica indicazione del medico che li richieda in terapia». Si tratta quindi di sostanze di notevole utilità terapeutica la cui scelta di assunzione continuativa deve però essere, nella prima fase di dieta, richiesta specificamente dal medico.
In molti dei nostri siti o pubblicazioni rilasciate in passato è possibile ritrovare delle indicazioni di questo tipo: «In genere, superata la prima fase di trattamento dietetico (2-4 settimane) l’uso di probiotici è suggerito e favorito. In alcuni casi i probiotici possono essere utili anche da subito in risposta a caratteristiche individuali». Confermiamo quindi l’utilità di questi integratori, ma il loro uso continuativo fin dall’inizio della impostazione dietetica può essere controindicato. Vediamone le motivazioni.
La “scheda del lievito” è stata costruita gradualmente nel corso degli anni identificando sostanze che le persone percepivano come reattive o semplicemente leggendo la presenza di reattività persistente pur essendo “in dieta” e andando, per esclusione a capire quale potesse essere l’elemento disturbante.
Questo, ad esempio è avvenuto per una serie di sostanze che progressivamente hanno reso più completa la scheda e che inizialmente (oltre 25 anni fa) nessuno considerava come parte del grande gruppo delle sostanze fermentate:
- Black tea (e poi abbiamo scoperto che il tè si produce con fermentazione sul luogo di raccolta, mentre il tè verde è semplicemente seccato)
- Prodotti fermentati con lievito chimico (teoricamente non ci dovrebbe essere fermentazione, ma solo bolle d’aria) eppure le persone che lo usavano ripresentavano gli stessi sintomi
- Miele (e solo dopo abbiamo scoperto che al suo interno ci sono molti lieviti osmofili)
- Prodotti finali della fermentazione (whisky ad esempio) anche se al suo interno non dovrebbero più esserci residui di lieviti
- Alcuni probiotici
Per i probiotici abbiamo verificato che in alcuni casi particolari e con alcuni ceppi la reazione alle sostanze fermentate continuava ad essere elevata nonostante una dieta correttamente impostata. Questo è ad esempio testimoniato da donne che arrivano sofferenti di candida e che da tempo, nonostante tutto, stanno rimpinzandosi di probiotici senza averne alcun effetto (mentre di solito l’uso dei probiotici in concomitanza alla Candida può essere utile).
Non siamo ancora riusciti a capire a priori QUALI persone e QUALI ceppi possono determinare o escludere questo tipo di reazione. La scelta corretta è quindi (nelle prime 2-4 settimane di dieta) nell’usare i probiotici solo nei giorni liberi per poi riprendere invece una somministrazione anche quotidiana.
Sarebbe interessante sviluppare in futuro un lavoro scientifico su una popolazione allargata una valutazione (e uno studio razionale) di differenti ceppi per analizzare quale possa essere la risposta modulata nelle diverse situazioni dietetiche.
Non c’è quindi nessuna specifica controindicazione al loro impiego, ma solo il riconoscimento di un possibile livello di interferenza che riconosciamo come temporaneo, e una mancanza di dati clinici epidemiologici che possa dirimere i dubbi. La lunga pratica clinica ci suggerisce, cautelativamente, un uso iniziale modulato dei probiotici nel momento in cui si comincia la dieta.
È ovvio però che le indicazioni di molti probiotici sono perfettamente allineate con le azioni che possiamo ottenere riducendo l’infiammazione alimentare, e infatti il suggerimento terapeutico per chi soffre di una alterazione della mucosa intestinale è spesso orientato in questa direzione. Eppure a tutt’oggi noi possiamo contare molti casi in cui possiamo percepire una interferenza negativa dei probiotici come pure in molti altri casi l’evidenza di netti benefici.
La stessa esistenza dei Grandi Gruppi Alimentari ci aiuta a capire il perché di questo diverso comportamento di diversi ceppi batterici. Ognuno di essi determina una reazione per una piccola componente anticorpale che corrisponde ad una parte della reattività del Grande Gruppo e che può essere diversa da quella attivata da un altro ceppo batterico. Talvolta questa parte determina reazione talvolta no.
Non è sorprendente. Come in molti casi ci sono persone che manifestano reazione diretta al vino e non al parmigiano (o viceversa), e noi comunque suggeriamo di controllare entrambe le sostanze (oltre a tutte le altre) per potere arrivare alla guarigione completa.
Dopo un congruo periodo quindi (quelle 2-4 settimane e individualmente anche di più) gli effetti diventano tendenzialmente benefici per tutti.