Ingrassare a causa dell’infiammazione: nuove scoperte su adipociti, BAFF e grasso corporeo
L’uso ripetuto o eccessivo di certi alimenti facilita la comparsa di infiammazione e già negli anni passati si è visto che la produzione di BAFF e di PAF induce resistenza insulinica, cioè facilita tutti i processi digestivi degli zuccheri che portano all’accumulo di grasso anziché a bruciare le disperdere le calorie assunte con l’alimentazione.
Si è scoperto che il tessuto adiposo analizza con precisione quello che si mangia ed è in grado di produrre adipochine, sostanze ad attività metabolica e ormonale che possono produrre effetti benefici (ad esempio il dimagrimento, la regolazione del ciclo mestruale o l’aumento di massa muscolare) oppure di induzione di malattia (come ad esempio l’Artrite reumatoide o altre malattie autoimmuni come la tiroidite di Hashimoto).
L’azione ben documentabile e misurabile di BAFF e di PAF, molecole fortemente correlate anche all’alimentazione, ha consentito di superare la ascientificità delle ormai obsolete “intolleranze alimentari”, termine che sebbene sia oggi ben compreso dalla popolazione, non soddisfa le considerazioni scientifiche più recenti.
Fortunatamente non esiste nessun cibo (ben coltivato e preparato) che possa fare male; solo un uso scorretto e un abuso degli alimenti può portare a reazioni infiammatorie e alle relative conseguenze.
Al centro di queste considerazioni scientifiche c’è comunque il tessuto adiposo, costituito da adipociti. Dopo molti anni in cui è stato considerato solo un tessuto di accumulo e di deposito dell’energia, gli studi più recenti lo hanno ridefinito come un vero e proprio organo endocrino.
Si è visto ad esempio che il BAFF costituisce un vero e proprio ponte di collegamento tra l’infiammazione e il metabolismo, svolgendo un ruolo primario nel mantenimento della resistenza insulinica.
Inoltre si è compreso che l’infiltrazione infiammatoria del tessuto adiposo (dovuta ai macrofagi) è uno dei rilievi più frequenti nelle condizioni in cui l’obesità si associa alla sindrome metabolica, come documentato da Kim e Do nel 2015 (Kim DH et al, 2015 Experimental & Molecular Medicine ,47(1), e129).
Ne deriva che il BAFF possa essere uno dei possibili induttori dell’infiammazione nel tessuto adiposo. Quando si genera ingrassamento attraverso una dieta, si può rilevare un significativo aumento dei livelli di BAFF nel siero e nel tessuto adiposo viscerale.
E soprattutto colpisce la scoperta che gli adipociti, oltre ad essere influenzati dal BAFF, possono essi stessi produrlo. Quando secernono il BAFF questo è in grado di promuovere il rilascio di altre molecole pro infiammatorie che mantengono l’infiammazione nel tessuto adiposo, come pubblicato da Kim MY e dai suoi colleghi nel 2013 (Kim MY et al, 2013 Experimental & Molecular Medicine, 45(1), e4).
Anche nell’uomo sono state identificate le prime correlazioni tra livelli di BAFF e obesità. Uno studio su 58 persone ha identificato una forte correlazione tra obesità e livelli plasmatici di BAFF, significativamente più elevati negli individui obesi se confrontati con persone con un indice di massa corporea (BMI) minore di 30.
Gli autori di questo lavoro, oltre a confermare la produzione di BAFF da parte degli adipociti, concludono che le differenze nell’espressione di BAFF possono determinare differenze nella distribuzione di grasso, rendendo i pazienti con alti livelli circolanti di BAFF più predisposti a sviluppare grasso viscerale di altri (Bienertova-Vasku J et al, Centr Eur J Med, now Open Medicine, Volume 7, Issue 3, June 2012).
Si continuano a ricevere conferme della costante interazione tra immunità innata (quella che riconosce i cibi buoni e i cibi cattivi e che porta, attraverso i Toll Like Receptors o TLR a produrre BAFF) e infiammazione dovuta alle IgG, gli anticorpi che indicano il profilo alimentare individuale.
Alcune ricerche hanno, infatti, rilevato che il grano e i cereali correlati attivano i TLR4 innescando una risposta infiammatoria che produrrebbe BAFF e che potrebbe quindi essere alla base del meccanismo molecolare della “Non Celiac Gluten Sensitivity” o NCGS (Biesiekierski JR et al, 2015, United European Gastroenterology Journal, 3(2), 160–165).
Meccanismi analoghi a questo, attivati dai TLR con produzione di BAFF e poi mantenuti con la presenza di anticorpi IgG, potrebbero spiegare la maggior parte dei fenomeni infiammatori e metabolici correlati all’alimentazione.
In sintesi
L’infiammazione correlata al cibo, con la produzione di BAFF e di PAF, manda all’organismo un segnale di allarme e l’organismo risponde riducendo i consumi e accumulando grasso.
Gli adipociti, in un contesto infiammatorio, creano una sorta di circolo vizioso per cui la resistenza insulinica indotta dal BAFF porta alla produzione di ulteriore BAFF che ricrea a sua volta il problema mantenendo l’infiammazione. Solo l’interruzione di questo “messaggio circolare” attraverso una dieta corretta può garantire per la riattivazione del metabolismo.
Che fare in pratica
Misurare i livelli di infiammazione aiuta a capire in ogni persona che voglia migliorare la propria composizione corporea quanto sia importante l’interferenza negativa delle citochine infiammatorie sul metabolismo.
Una dieta di rotazione (mai di eliminazione) definita dal profilo alimentare personale, che indica quali siano i cibi mangiati in eccesso, consente di ridurre i segnali di allarme (e di ingrassamento) mandati all’organismo e di migliorare l’efficienza degli aspetti dietetici impostati.
Una dieta che miri a ridurre la massa grassa in cui si mantenga quotidianamente l’assunzione di cibi che stimolano la produzione di BAFF, rischia di essere addirittura controproducente e di facilitare l’accumulo di grasso pur sotto controllo calorico.
Si tratta delle impostazioni che nei percorsi terapeutici del nostro centro gestiamo da anni, affiancando sani principi nutrizionali alla individualizzazione delle scelte alimentari.