Bilanciare i valori dell’infiammazione, con il corretto livello di BAFF e di PAF, regola metabolismo e dimagrimento
Infiammazione e aumento di peso sono sempre più legati tra loro. Con effetti diversi per le diverse citochine infiammatorie, si stanno scoprendo negli ultimi anni gli effetti di alcune sostanze infiammatorie sulla regolazione del metabolismo.
Già da qualche anno si è potuto legare l’aumento di BAFF (fortemente correlato al tipo di alimentazione) con la resistenza insulinica e con l’ingrassamento. Significa che dopo avere valutato il livello di infiammazione e scoperto quale sia il profilo alimentare personale (ciò che cosa si sta mangiando in eccesso), la dieta personalizzata che ne deriva contribuisce, in un piano nutrizionale adeguato, a ridurre la massa grassa accumulata e a migliorare il metabolismo.
Una persona con un profilo alimentare correlato a lieviti e latte (ad esempio), continuando a mangiare pane e formaggio o pizza aumenta il proprio valore di BAFF con conseguente crescita di resistenza insulinica e possibile aumento di peso.
Per il BAFF, quindi, le relazioni tra sovrappeso e infiammazione sono state definite con chiarezza, mentre per il PAF e per alcuni dei suoi metaboliti (come la Lyso-fosfatidilcolina e il Lyso PAF) questo rapporto, almeno fino a qualche tempo fa, non era chiarissimo.
I primi lavori che hanno studiato questa connessione sembravano evidenziare un ruolo positivo del PAF, come a dire che un PAF elevato riduceva il rischio di ingrassamento, e la ricerca pubblicata su Biochemical Pharmacology esprimeva questo concetto (Yamaguchi M et al, Biochem Pharmacol. 2015 Feb 15;93(4):482-95. doi: 10.1016/j.bcp.2014.12.022. Epub 2015 Jan 8).
Una successiva ricerca brasiliana pubblicata su Clinical Science (London) ha confermato questo aspetto (Filgueiras LR et al, Clin Sci (Lond). 2016 Apr;130(8):601-12. doi: 10.1042/CS20150538. Epub 2016 Jan 19), ma l’elemento più interessante è invece il modo in cui il PAF agisce. L’assenza di PAF può stimolare l’ingrassamento, il giusto valore di PAF è protettivo, un eccesso di PAF è espressione di una condizione clinica potenzialmente impegnativa in cui il dimagrimento non è frutto dell’effetto diretto della molecola infiammatoria, ma di possibili importanti condizioni cliniche associate.
Questo effetto era stato già notato sulla pelle grazie ai primi studi del 1992, pubblicati su Surgery, relativi alla velocità di cicatrizzazione e di riparazione dei tessuti (Porras-Reyes BH et al, Surgery. 1992 Apr;111(4):416-23) grazie ai quali era evidente che un modello di cicatrizzazione cutanea rispondeva molto bene, con una rapida chiusura della ferita e una resistenza alla trazione solo per una specifica quantità di PAF. Una concentrazione minore di PAF non agiva e anche una concentrazione 10 volte maggiore non aveva alcun effetto. Una tipica relazione cosiddetta “a U”, in cui solo una specifica quantità può funzionare correttamente.
La stessa cosa avviene anche a livello metabolico. Il PAF agisce in senso antiadiposo se è ad un giusto livello, mentre nel momento in cui si squilibra può determinare alterazioni della regolazione metabolica.
Il punto fondamentale è che il PAF, come il BAFF, rappresenta un biomarcatore importante dell’equilibrio del metabolismo.
La valutazione del livello di infiammazione e del profilo alimentare rappresenta infatti un punto fermo dei nostri percorsi terapeutici sul sovrappeso e sulle malattie metaboliche e sempre più si ha la certezza che per affrontare le patologie attuali del benessere e l’epidemia di diabete che sta colpendo il mondo occidentalizzato (e non solo) lo studio dell’infiammazione e l’impostazione nutrizionale che ne deriva siano tra gli strumenti più innovativi e importanti per andare al di là dell’inefficace conteggio delle sole calorie per prendere invece in considerazione l’intero equilibrio dell’organismo.